C'è una forma di diseguaglianza e di ingiustizia sociale, sottile, ma molto pericolosa, che sta emergendo in tutta Europa. Potremmo definirla una nuova "questione di classe": gli studenti peggiori a scuola si concentrano nelle famiglie più povere. Lo rivela l'edizione 2017 del Rapporto «Education and Training Monitor» della Commissione europea, che evidenzia un dato-choc: nei Paesi dell'Unione, in media, il 33,8 per cento degli studenti con basso rendimento scolastico appartiene alle famiglie posizionate nel segmento sociale, economico e culturale più basso, mentre solo il 7,6 per cento appartiene al quartile più alto.
Il Rapporto svela dunque l'esistenza di un odioso "spread" delle opportunità formative tra studenti ricchi e poveri, pari al 26,2 per cento in Europa e addirittura al 27 per cento in Italia. Crolla così uno degli ultimi baluardi della convivenza civile contemporanea: la scuola come grande "livella", nella quale capacità e impegno individuali possono portare l'allievo a risultati che prescindono dal contesto familiare, "annullando" in qualche modo vantaggi o svantaggi di natura ereditaria. Nulla di tutto questo è più vero, ahinoi.
Il fenomeno nasce dalla crescita significativa negli ultimi anni degli investimenti privati per l'istruzione dei bambini: le famiglie benestanti scelgono legittimamente le scuole migliori, pagano lezioni di recupero e vacanze-studio, investono sempre più in attività educative extra-scolastiche che sviluppano le diverse abilità dei loro ragazzi. Tutto questo ha conseguenze (che nel libro "Opzione Zero" chi qui scrive ha già messo in evidenza) anche sul successo professionale dei ragazzi: l'aver conseguito risultati migliori nella formazione, insieme alla possibilità di sfruttare il network di conoscenze dei genitori, rischia di offrire ai ragazzi benestanti un vantaggio incolmabile rispetto ai coetanei meno fortunati.
Solo una classe politica consapevole può provare a riequilibrare la situazione. La "buona scuola", o almeno il tentativo di realizzarla, dovrebbe diventare "per tutti". Con investimenti importanti sul diritto allo studio e sulla qualità del tempo pieno, che richiederebbero una scelta di campo: focalizzare le politiche pubbliche sul futuro (prossimo) del Paese.
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