martedì 27 giugno 2017
«La vostra presenza è un pugno in faccia a chi è convinto che l'Occidente è morto e l'Europa è fallita. E qui, vi assicuro,
sono in tanti a pensarlo». Questa confidenza veniva fatta nell'aprile di un anno fa dal Patriarca cattolico caldeo, Louis Raphael Sako, a una delegazione italiana in visita a Erbil, Kurdistan iracheno, dove si concentrava gran parte dei cristiani fuggiti quasi due anni prima dalla piana di Ninive, dopo la conquista di Mosul da parte dell'Isis. Ad ascoltarlo c'erano tra gli altri i vescovi italiani Francesco Cavina (Carpi) e Antonio Suetta (Ventimiglia), assieme al responsabile di Aiuto alla Chiesa che soffre, Alessandro Monteduro.
Neanche due mesi prima, in febbraio, il Parlamento europeo aveva approvato all'unanimità una mozione che marchiava come "genocidio" la sistematica persecuzione delle minoranze religiose nel territori che dal 2014 formavano il "califfato" del Daesh. Un gesto politico solenne, quello di Strasburgo, al quale tuttavia non erano seguiti grandi iniziative concrete. È vero, nel maggio seguente, il presidente dell'Esecutivo di Bruxelles, Jean-Claude Juncker, aveva nominato il commissario all'Istruzione, lo slovacco Ján Figel', inviato speciale «per la promozione della libertà di religione e di credo al di fuori dell'Unione». Ma nonostante il forte impegno personale, la sua prima vera missione in loco si è potuta realizzare solo il 1° marzo di quest'anno.
Insomma, tempi lenti, mentre per fortuna con ben altri ritmi andava avanti l'azione umanitaria di sostegno di organizzazioni come Aiuto alla Chiesa che soffre. La quale ora prova a rilanciare in grande stile, dopo aver proposto un vero "Piano Marshall" per il ritorno dei cristiani nella piana di Ninive. Il progetto è già partito e i primi cantieri sono aperti da metà maggio. Prevede la ricostruzione di oltre 12mila abitazioni e comporta una spesa di 230 milioni di euro. Nei giorni scorsi l'iniziativa è stata presentata agli ambasciatori dei Paesi dell'Unione presso la Santa Sede e i primi segnali di attenzione ci sono. L'Ungheria ha già stanziato due milioni di euro. La Polonia sembra stia muovendosi. E a inizio autunno Acs spera di poter promuovere a Roma una "conferenza" di donatori, che produca il colpo di reni necessario.
Quello che ancora non si vede è una reale mobilitazione unitaria del Vecchio continente, che sulle rive dell'Eufrate tutti attendono con ansia, come lo stesso Figel' ha potuto verificare di persona, constatando che, a differenza degli Stati Uniti, contro l'Europa non c'è ostilità preconcetta. Ma c'è quello scetticismo di fondo confidato dal Patriarca Sako, da dissipare certo con l'impegno economico, ma soprattutto con una presenza costante, visibile e duratura. Il nodo è anzitutto culturale e geopolitico. A tre anni dalla conquista di Mosul da parte dei tagliagole di al-Bagdhadi, tre anni contrassegnati da un immobilismo diplomatico deprimente, la Ue deve capire che non avrà molte altre occasioni per accreditarsi come un'entità credibile e significativa, proprio adesso che l'ora della liberazione della città sembra scoccata.
Più o meno ventisette secoli fa, un profeta biblico dal carattere riottoso e irascibile, di nome Giona, rifiutò fino all'ultimo di obbedire al comando divino di predicare a Ninive. Dopo peripezie marittime con tanto di tempesta e "soggiorno" nel ventre di un grosso pesce, si convinse infine ad annunciare nella capitale degli Assiri che una catastrofe incombeva sul popolo. Con sua sorpresa – in verità con suo scorno – la predicazione fu accolta, i niniviti fecero penitenza e la città si salvò. Viene da pensare che forse oggi anche Bruxelles avrebbe bisogno di una forte voce profetica, capace più che di minacciare, di richiamare al dovere di far rinascere un grande sogno. Prima che sia troppo tardi.
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