Nel campo da cricket una visione del mondo
mercoledì 18 settembre 2024
È di alcuni giorni fa la decisione del Comune di Monfalcone di multare chiunque sia sorpreso a giocare a cricket nei parchi o giardini cittadini, proibendone di fatto la pratica. Monfalcone, polo industriale e portuale, è sede dei principali cantieri navali italiani; conta 30.000 residenti dei quali circa 9.000 stranieri e più della metà di questi sono bengalesi impiegati, appunto, nei luoghi dove si costruiscono mastodontiche navi da crociera. Un’altra informazione necessaria è che in Bangladesh, come in India o in Pakistan e in tanti altri Paesi, il cricket è lo sport nazionale, un po’ come per noi il calcio. Anzi, per la precisione, il cricket è in assoluto il secondo sport più seguito al mondo, dopo il calcio. Si stima che il numero degli appassionati sia vicino ai tre miliardi e considerando che oggi il pianeta ospita circa 7,5 miliardi di esseri umani (neonati e ultracentenari inclusi) il dato deve far riflettere soprattutto noi mediterranei, consumatori bulimici di spettacoli sportivi, a cui questa disciplina di impatto planetario è pressoché sconosciuta. Il cricket è stato inventato nel XIV secolo in Inghilterra e, poco dopo, è salito sulle navi insieme a flotte di inglesi che volevano conquistare il mondo. Come innamorarci di questo sport? Capendone le regole, forse? Sbagliato. Non sono in grado di spiegarvi nel dettaglio come si gioca a questa disciplina che ricorda vagamente il baseball e che fra quattro anni, a Los Angeles, entrerà nel programma dei Giochi Olimpici. A me interessa però raccontare il fascino del cricket in quanto intreccio indissolubile fra sport e politica, metafora dell’idea di un confine e, insieme, del suo superamento. Il campo da gioco, infatti, è un ovale delimitato non da una striscia di gesso tracciata sul terreno – come per il calcio o il rugby – ma da una barriera più concreta, una corda posata sull’erba. Il colpo più efficace per la squadra alla battuta consiste nel mandare la palla oltre il confine del campo (segnando così dei punti detti runs) e viene denominato, nel meraviglioso gergo del cricket, a boundary. Mettete insieme i tre presupposi (sport, politica, confini) e capirete come questa disciplina ci offra una chiave d’accesso privilegiata per parlare di un certo modo di stare al mondo che il cricket ha insegnato a partire dall’Inghilterra previttoriana, rotolando in tutti quegli angoli del pianeta dove l’Impero Britannico è arrivato, diventando poi, paradossalmente, il più potente strumento di emancipazione proprio di quei territori che sfidavano (e battevano), con l’enorme rispetto e fairplay del cricket, gli inventori del gioco e loro colonizzatori. Tutto ciò è la parte sott’acqua dell’iceberg, la spiegazione del perché tanti riconoscano in quel gioco la propria cultura. Il cricket sarebbe uno straordinario strumento di inclusione se solo non ci spaventasse tutto ciò che ci appare diverso. “Vogliamo difendere i nostri sport tradizionali” hanno detto a Monfalcone. Beh, aspettiamoci allora dei grandi tornei di palla con il bracciale, quella cantata da Leopardi, uno dei pochissimi sport made in Italy, perché se calcio, tennis, basket, volley, baseball arrivano dall’Inghilterra o dagli Usa, perfino il tamburello arriva dal Medio Oriente e dall’India. Insomma: vietato vietare di giocare, a palla come a cricket, e avremo un mondo migliore. © riproduzione riservata
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