giovedì 7 gennaio 2016
Titolo ieri (“Giornale”, pp. 1 e 22): “Guareschi, un emarginato da Nobel per la letteratura”. Daniele Abbiati ricorda che al grande narratore-giornalista nel 1965 fu negato il Nobel e ripercorre le avventure del “Giovannino”, la sua disavventura con De Gasperi che lo portò anche in carcere e l'ostilità di cui fu circondato persino da parte di grandi come Montanelli, e che lo condannò ad un'emarginazione precoce, pur essendo egli anche prima della morte “lo scrittore italiano più letto nel mondo con traduzioni in tutte le lingue, e con grandi meriti nella battaglia del 1948 contro il comunismo minaccioso che era ancora quello di Stalin e della Cortina di ferro”. Segue poi qualche veleno verso il mondo cattolico preso in blocco, utilizzando anche una citazione di “Avvenire” del 1968, piuttosto sbrigativa: “Peppone e Don Camillo sono premorti al loro autore”! Tutto vero, con una sola osservazione. Può, oggi, un giornalista serio scrivere di Don Camillo e mondo cattolico come tale dimenticando che di recente Papa Francesco alla Chiesa italiana convenuta a Firenze ha ricordato i grandi Santi, “da Francesco d'Assisi a Filippo Neri”, continuando così: «Ma pensiamo anche alla semplicità di personaggi inventati come don Camillo che fa coppia con Peppone. Mi colpisce come nelle storie di Guareschi la preghiera di un buon parroco si unisca alla evidente vicinanza con la gente. Di sé don Camillo diceva: “Sono un povero prete di campagna che conosce i suoi parrocchiani uno per uno, li ama, che ne sa i dolori e le gioie, che soffre e sa ridere con loro”. Vicinanza alla gente e preghiera sono la chiave per vivere un umanesimo cristiano popolare, umile, generoso, lieto. Se perdiamo questo contatto con il popolo fedele di Dio perdiamo in umanità e non andiamo da nessuna parte». Meglio così, vero?
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