martedì 3 maggio 2022
L'altra sera su un tg. La prima evacuazione da Mariupol. È notte fonda. Nel buio – tutti in frantumi i lampioni della città – le sole luci sono i fari dei bus, dei pullman, delle ambulanze, degli autoblindo russi segnati dalla "Z". Una ventina di donne e bambini lasciano dopo due mesi i sotterranei della Azovstal. E io mi immagino un bambino cui la mamma aveva promesso: usciamo, rivedrai il cielo, rivedrai il sole. Ed eccoli a camminare curvi nei tunnel, e sbucare fuori, finalmente. Ma attorno il mondo è nero. Mi immagino l'istante di smarrimento di quel bambino, attaccato alla mano della madre. Mamma, ma il sole? Sono accecanti invece, per occhi abituati alla penombra, i potenti fari dei mezzi militari, ben più alti di un bambino. E girano attorno come in una giostra, in un fragore di motori, in un acro odore di diesel, fra comandi gridati e ambulanze che sventolano vistose bandiere bianche. Infine quel bambino e la mamma caricati su un grosso pullman, i loro occhi attoniti che guardano fuori dal finestrino. Un rombo, si parte – per dove chissà, nessuno osa far domande. Il pullman se ne va sollevando una nuvola di polvere rossiccia dalla strada distrutta. E il sole? Quel bambino ora dorme sfinito, abbracciato alla madre. Si sveglierà nel primo chiarore dell'aurora. In Ucraina, in Russia? Il sole comunque si alzerà. Ovunque. Il sole è fedele.
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