Nei giorni scorsi, per la prima volta nella sua storia, la Camera dei deputati ha deciso di dotarsi di un Registro dei lobbisti (che diventerà operativo a metà marzo). Dopo anni perduti in dibattiti, convegni, commenti e petizioni, ciò che sembrava impossibile diventa realtà.
La regolamentazione si basa su uno "scambio": i lobbisti si impegnano a iscriversi ad apposito registro e a presentare una relazione annuale sull'attività svolta, in cambio potranno interagire con i deputati – ma non in Transatlantico né davanti alle Commissioni parlamentari – presentare proposte sui provvedimenti in discussione e disporre in via sperimentale d'uno spazio dedicato all'interno della Camera. Merita di essere segnalato che il regolamento introduce finalmente in Italia il divieto (applicato da tempo negli Stati Uniti) delle revolving doors: non possono iscriversi al registro ex membri del Governo o ex parlamentari, qualora non sia trascorso un "periodo di decantazione" tra l'esercizio dell'incarico di rappresentanza e lo svolgimento dell'attività di lobbying di almeno 12 mesi. Periodo decisamente troppo breve. In politica, poco più d'un battito di ciglia.
Il regolamento non ha raccolto il sostegno di tutte le forze politiche: significative in particolare le astensioni del vicepresidente della Camera Simone Baldelli di Forza Italia, nonché di Riccardo Fraccaro del Movimento 5 Stelle e di Giulio Sottanelli di Scelta Civica. Astensioni che hanno argomentazioni robuste a supporto. Perché a ben guardare si tratta, anzitutto, di un regolamento "strabico" che prevede sanzioni soltanto a carico dei lobbisti. Nulla invece è previsto a carico dei deputati: nessun obbligo di condotta, nessuna sanzione applicabili. Curioso davvero. Come se in un match di calcio, in caso di rissa, un arbitro avesse il potere di espellere solo i giocatori di una delle due squadre.
Inoltre, il modello di rendicontazione scelto dalla Camera è molto light. Troppo light, per far luce dove regnavano le tenebre. Per capirci: se non si prevede l'obbligo puntuale per i deputati di indicare i loro incontri con i lobbisti e i temi trattati – come per esempio già prevede il modello di autoregolamentazione adottato al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti dal viceministro Nencini –, ma ci si limita a richiedere solo ai lobbisti una generica relazione a fine anno, come si può consentire ai cittadini-elettori di "controllare" l'attività dei loro eletti?
Tramontata la moda dello streaming (la diretta video via internet), la "casa di vetro" della politica può essere garantita solo costringendo Governo e Parlamento a rendere pubblico il confronto di interessi che sta alla base di ogni decisione rilevante. Solo quando ci riusciremo, le lobby – che interessi legittimi rappresentano – non saranno più considerate l'origine di tutti i mali, ma uno strumento utile e necessario per migliorare la qualità e l'applicabilità delle leggi.
@FFDelzio
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