Oggi gli italiani non sanno ancora con quale legge voteranno nella prossima primavera. Perché, in Italia, da qualche tempo ogni tornata elettorale ha le sue regole: diverse di volta in volta, spesso figlie del desiderio di costruire soluzioni "sartoriali" per vestire obiettivi politici. Che, paradossalmente, quasi mai diventeranno realtà. È impressionante la frequenza con cui nel nostro Paese vengono modificate (o si tenta di farlo) le regole per l'elezione di deputati e senatori, a ridosso delle elezioni politiche: un fenomeno unico nel modo avanzato, una sorta di "maledizione" che accompagna l'espressione massima della volontà popolare.
L'ultimo tentativo in atto, il cosiddetto Rosatellum 2.0, nasce da una ragione di fondo (oggettivamente) solida: evitare agli italiani la straziante esperienza di votare con due leggi elettorali diverse tra Camera e Senato e incapaci di garantire sia rappresentanza sia governabilità, in quanto frutto degli "scarti legittimi" di una pessima legge elettorale dichiarata in parte incostituzionale dalla Corte e sostanzialmente disconosciuta dal suo stesso autore (Porcellum) e dalla radicale correzione di una normativa approvata e mai applicata (Italicum). Il mondo dei media, tuttavia, tende in genere a valutare questa proposta (come ogni altra) esclusivamente sul piano degli effetti politici, cercando risposte a un'unica domanda: quale partito o quale coalizione se ne avvantaggerà? Ma per il cittadino-elettore questa domanda non ha senso: equivale a chiedersi se una nuova regolamentazione della pasta avvantaggerà l'una o l'altra marca, non quali benefici porterà alla salute di chi la mangia.
È necessario, dunque, introdurre nel dibattito pubblico nuovi parametri di valutazione della "bontà" di una legge elettorale. Un primo esempio riguarda il livello di spesa pubblica, questione rilevante per uno Stato appesantito da un livello-record di indebitamento. La letteratura economica a livello internazionale è unanime nel considerare i sistemi elettorali proporzionali la causa di una spesa pubblica (sociale, in particolare) più alta: sarebbe determinata dal numero maggiore di partiti presenti in Parlamento e dall'inevitabile corsa alla valorizzazione delle loro "differenze", che si tradurrebbe in una maggior richiesta di intervento economico da parte dello Stato. Altro esempio interessante riguarda la corruzione: studi più recenti dimostrano che le elezioni attraverso collegi uninominali (rispetto a quelle in circoscrizioni con liste di più candidati per partito) tenderebbero a ridurre il livello di corruzione degli eletti. Il rapporto più diretto tra eletti ed elettori all'interno di un collegio uninominale, infatti, aumenterebbe il "controllo sociale" sull'operato del parlamentare, la cui rielezione dipende esclusivamente dal voto dei cittadini.
Se non possiamo superare la "maledizione" della modifica della legge elettorale sotto elezioni, cerchiamo almeno di accendere i fari sul vero interesse del cittadino-elettore. Per renderlo più consapevole e partecipe delle scelte fatte da chi lo rappresenta.
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