sabato 24 giugno 2017
Confesso di esser rimasto molto colpito dalla lettura dell'ultimo saggio-intervista di Romano Prodi, "Il piano inclinato", che due giorni fa ho avuto la fortuna di discutere direttamente con l'autore in occasione del Festival "Passaggi" di Fano. Ma diversamente da quanto detto e scritto dalla quasi totalità dei commentatori, non mi hanno colpito le implicazioni che a questo pamphlet sono state attribuite rispetto al rissoso universo del centrosinistra italiano, che l'ex Presidente del Consiglio sta generosamente cercando di riunificare. "Il piano inclinato" rappresenta invece, a mio avviso, qualcosa di più di un presunto programma politico o di Governo, perché contiene una nuova visione del ruolo della sinistra (in Europa) nell'era dominata dall'incrocio dei tre "fenomeni secolari", ovvero globalizzazione, finanziarizzazione dell'economia e avvento della tecnologia digitale. Quella di Prodi è un'analisi preziosa di cui si poteva avvertire il bisogno da molti anni, da quando i modelli riformisti di Blair e Clinton avevano terminato la loro parabola. O meglio, almeno nell'ambito della politologia, da quando (nel 1994) Norberto Bobbio pubblicava "Destra e Sinistra", una pietra miliare del pensiero perché individuava nella reazione alle disuguaglianze il vero discrimine tra le due grandi categorie della politica contemporanea.
Nella visione del professor Prodi, la radice più profonda della crescente disuguaglianza che si registra nel mondo occidentale (e che determina in ogni angolo d'Occidente rabbia sociale e populismo politico) è la "svalutazione" del lavoro. Tartassato oggi – non solo in Italia – dal fisco che invece privilegia le attività finanziarie a causa della concorrenza causata dalla mobilità dei capitali, messo in crisi dall'avvento delle tecnologie che bruciano occupazione di livello medio-basso senza creare nuove opportunità di lavoro, emarginato dalla crisi dei sindacati e della contrattazione collettiva. Insieme alla centralità del lavoro, peraltro, sta crollando la classe media che è stata costretta a rinunciare al suo ruolo-guida nelle società europee.
Ma come si può difendere il valore del lavoro e ricreare un sistema di "par condicio" delle opportunità per i nostri giovani? Puntando risorse e attenzione politica sulla formazione: la scuola e l'università sono l'unico luogo nel quale è possibile riattivare quell'ascensore sociale, che aveva fatto le fortune dell'Italia negli anni Sessanta e Settanta e che oggi appare totalmente inceppato. Così come il welfare europeo è il grande patrimonio del Novecento che, nella visione di Romano Prodi, è assolutamente necessario traghettare e difendere nell'Europa dei prossimi anni. Provare a raddrizzare il piano inclinato della disuguaglianza e della marginalizzazione del lavoro è, dunque, la nuova missione della sinistra riformista in Occidente. La speranza è che quella italiana sappia far propria questa complessa sfida.
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