«Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono». La colonna sonora di questi giorni di “sinneriadi” -
delirio olimpico collettivo per Jannik Sinner - potrebbe essere questo brano di Giorgio Gaber che come pochi altri italici cantori ha combattuto il conformismo nazionale. Quella capacità tutta italiota di esaltare alla follia i campioni dello sport, di rendere epici i mutandieri della domenica, salvo poi abbandonare tutti i presunti miti, di cartastraccia, al minimo inciampo, per relegarli nell’hall fame dell’oblio. Da stelle di prima grandezza a morti di fama, per la nostra pubblica ottusità il passaggio è più veloce di un ace di baby Sinner. Quindi caro Jannik, anche se parliamo a giovane uomo che viaggia a sangue freddo (grazie alle origini altoatesine), sappia che sarà dura scampare a questa becera tradizione che come crea il monumento, poi subito invia stormi di piccioni a seppellirli di sterco. Occhio. Adesso è tutto straordinario. Una grande famiglia, i liberalissimi Sinner alle spalle del campione. Jannik, il fratello e il fidanzato ideale. E poi, la leggenda aggiornata a tempo di televideo: come lui nessuno mai. Campione di sci in fasce, bimbo calciatore da 25 gol a stagione e infine, quasi per ripiego, tennista da grande slam. Chi offre di più? Al mercato delle erbe informano che le carote, simbolo cromatico della capigliatura di “Jannik il rosso”, vanno a ruba: è boom come ai tempi degli spinaci americani legati al cartoon di Braccio di Ferro. I nuovi poeti, ex leoni da tastiera, al momento si nutrono di tutto ciò che riguarda il nostro giovane eroe nazionale, già degno di una fiction modello Mameli. Festival delle paginate. La Gazzetta dello Sport ne ha confezionato una ventina dopo il trionfo del tennista azzurro all’Australian Open. Gli altri si adeguano con titoli da brivido che vanno dal ribellismo Jannik mano fredda, al
pedagogico Educazione Sinneriana (che rimanda a quella Siberiana e meno pacifica di Nicolai Lilin), fino alla patologica Sinnermania. Una pandemia, tennistica, che contagia e vola dall’avvoltoio sanremese Amadeus, il quale pur di avere Sinner al Festival andrebbe a prenderlo a casa, a Montecarlo, e se lo caricherebbe in spalla fino all’Ariston. Per ora il semifreddo Jannik ha risposto garbatamente, come sempre: «Grazie, ma io i giorni del Festival sono già a lavoro» Avete capito bene, Jannik è l’unico italiano (poco italiano, per fortuna o purtroppo) che rinuncia a una ospitata a Sanremo. Umano troppo umano questo genio della racchetta che rischia di far saltare il governo - il nostro, non quello viennese -
perché tutti lo vogliono. Il centrosinistra c’ha provato, il centrodestra c’è riuscito a prendersi Jannik (prima del Presidente Mattarella al Qurinale). Se l’è palleggiato con selfie di Stato cominciati dalla Premier Meloni e finiti al Colosseo con il ministro alla cultura Sangiuliano, che speriamo non l’abbia scambiato per un atleta austrogermanico. Tutto questo in meno di un set, pardon, in meno di una settimana. Adesso però tregua, per noi e per Sinner. Grazie! (Danke! Merci!).
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