Chi subisce un danno ha diritto ad essere pienamente risarcito, anche se chi lo ha commesso è un ente pubblico, come l'Inps. Non è la prima volta che la Corte di Cassazione viene chiamata a riparare torti e irregolarità commesse dal grande Istituto di previdenza. Tuttavia, l'ultima sentenza sull'argomento, la numero 20086 del 30 luglio scorso, presenta un particolare carattere di novità, suscettibile di segnare un "punto e capo" nel rapporto tra i cittadini e la previdenza.
Nel caso in esame, un lavoratore si è dimesso dal posto di lavoro, convinto del diritto alla pensione sulla base di dati contributivi "certi" comunicatigli dell'Inps e scoprendo solo in seguito che i contributi non erano sufficienti e senza alcuna possibilità di raggiungere il pensionamento programmato. Una situazione in realtà più complessa di quella detta in breve. Infatti per raggiungere i contributi richiesti l'interessato si è avvalso della facoltà di versare a suo carico il costo della cosiddetta «rendita vitalizia» a copertura di alcuni periodi mancanti. Per ben due volte, l'Inps ha autorizzato questa operazione (comunicando anche l'onere da versare) e, le stesse due volte, prima l'ha accolta e poi l'ha annullata d'ufficio.
La Cassazione ha confermato, come in altri precedenti, il valore dell'affidamento posto dagli assicurati negli estratti dei contributi rilasciati dall'Istituto, ed ora anche oltre i limiti delle attestazioni «certificative» previste da alcune norme. Al lavoratore è stato quindi riconosciuto il pieno risarcimento del danno economico subito a causa del comportamento dell'ente, sulla base dell'articolo 1218 del Codice civile.
Il riferimento al Codice civile non è nuovo nelle cause per danni contro l'Inps; questa volta la Cassazione precisa che «la responsabilità per l'inosservanza dell'obbligazione legale è di natura contrattuale». Cioè l'Inps – secondo la Corte – ha contravvenuto ad un contratto stipulato con l'assicurato.
Secondo la giurisprudenza, la pensione è una particolare forma di retribuzione del lavoratore differita al tempo della vecchiaia, e garantita dallo Stato. Rientra quindi nella vasta categoria dei diritti sociali, come previdenza, sanità, assistenza, ambiente ecc.
Con la nuova sentenza la Cassazione sembra invece accentuare l'aspetto privatistico del rapporto con l'Inps. La previdenza entra così in un campo minato, dagli effetti imprevedibili. Ogni contratto si basa infatti sulla volontà e sul consenso delle parti. Quanti non vorrebbero accordarsi con l'Inps sui propri contributi? Oppure convenire su tempi o importi del pensionamento?
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