«Sempre di più, mi aspetto sempre di meno», scriveva Bukowski. La citazione potrebbe descrivere perfettamente lo stato d'animo medio del cittadino romano. Disilluso ai limiti della rassegnazione, dopo aver vissuto (sulla propria pelle) almeno vent'anni di progressivo e conclamato malgoverno della Capitale e aver visto svanire la grande illusione della bacchetta magica dei 5 Stelle.
A bruciare di più, come segnala ormai ogni sondaggio, è la delusione in atto nell'ultimo anno: al di là della lunga sequenza di passi falsi nella formazione della squadra di governo, Virginia Raggi non ha portato a casa alcun risultato significativo sul fronte della qualità della vita cittadina e del funzionamento dei servizi pubblici locali. Al contrario, inerzia e incompetenza sembrano aver fatto precipitare gli eventi: l'Atac appare sull'orlo del fallimento e sta drasticamente tagliando mezzi e frequenza delle corse (a personale inalterato, naturalmente), l'Ama continua a regalarci una delle città più sporche d'Italia e al tempo stesso tariffe-record, grazie a modelli organizzativi ottocenteschi e a contratti di lavoro che contengono incredibili tutele dei suoi lavoratori e non contengono alcun riferimento a performance da garantire e qualità dei servizi resi ai cittadini, i Municipi continuano a non avere fondi adeguati per ripianare anche solo le buche delle strade. E più in generale, la città storica più affascinante e ricca di bellezze del mondo appare vittima di una forma spontanea di anarchia, in cui il senso dell'esistenza di una collettività organizzata è interamente delegato alla buona volontà dei singoli cittadini.
In questa cronica situazione di non-governo, Roma può essere considerata oggi un modello di "resilienza urbana". La gran parte delle forme di gestione della città che esistono, resistono o nascono da zero derivano dall'iniziativa di privati che gestendo in modo efficiente le proprie attività d'impresa perseguono anche l'interesse collettivo (come nel caso del rilancio dell'aeroporto di Fiumicino), o che decidono di auto-organizzarsi in "isole civiche" per ricostruire servizi pubblici ovviando al fallimento di Roma Capitale. Se non succede ciò che ora pare un'impensabile svolta di buon governo, resta una sola speranza: quella che, almeno per probabilità statistica, la prossima volta ai cittadini tocchi in sorte un'amministrazione di Roma Capitale degna (almeno) dell'etimologia del ruolo.
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