La dipendenza da algoritmi un fatto di salute
giovedì 22 febbraio 2024
New York City è l'ultima amministrazione in ordine di tempo ad aver fatto causa alle grandi aziende tecnologiche per la presunta dipendenza dei bambini causata dalle loro piattaforme: l’accusa è di disturbo pubblico e negligenza perché, secondo l’amministrazione della Grande Mela, le caratteristiche di progettazione delle piattaforme, tra cui gli algoritmi di raccomandazione e i “mi piace”, assuefanno i bambini ai servizi e li manipolano affinché passino sempre più tempo online. L’azione legale, iniziata la settimana scorsa, si aggiunge a un’ondata crescente di cause intentate da governi statali e locali che prendono di mira le piattaforme tecnologiche per la dipendenza indotta tra i bambini, che vengono ingannati e danneggiati. Lo scorso giugno le stesse aziende di social media hanno dovuto affrontare una causa da parte di un distretto scolastico del Maryland, che le ha accusate di contribuire a una «crisi di salute mentale». Lo scorso autunno decine di Stati negli Usa hanno citato in giudizio Meta per aver presumibilmente ingannato il pubblico sui danni che i suoi servizi potrebbero causare tra i giovani utenti. Una sentenza emessa da un giudice federale alla fine dell'anno scorso indica che questo tipo di cause potrebbe superare le prime fasi del dibattimento processuale. Il giudice del tribunale distrettuale della California ha affermato che le richieste di risarcimento che si focalizzano su presunti “difetti” delle piattaforme, piuttosto che i contenuti in esse presenti, possono andare avanti nell’iter processuale perché non sarebbero considerate in conflitto con l’ormai celeberrima “Sezione 230”: con questo termine si indica il risultato dell’azione legislativa di Al Gore che ha portato alla realizzazione, quando era vicepresidente nell’amministrazione Clinton, alla scrittura della Sezione 230 del Communications Decency Act del 1996, che di fatto ha reso le compagnie internet non responsabili per i contenuti pubblicati dai loro utenti. Questa è stata introdotta come parte del Telecommunications Act del 1996, una riforma completa delle leggi sulle telecomunicazioni negli Stati Uniti. Se negli anni Novanta questa azione giuridica ha contribuito a garantire che internet potesse crescere organicamente come piattaforma aperta, proteggendo le compagnie di internet dalla responsabilità legale per i contenuti generati dagli utenti, oggi questo “scudo” di responsabilità legale sembra ostacolare il controllo delle grandi piattaforme tecnologiche. A oggi nessuna delle cause che sono state presentate è ancora stata discussa in tribunale. Le grandi aziende tecnologiche si sono difese dicendo di aver preso già provvedimenti o sostenendo che le accuse loro mosse non sono vere: quello che colpisce è che oggi la protezione dei bambini dai danni online è una delle poche questioni di politica di Internet che sembra aver mantenuto un supporto parlamentare, anche se una legislazione in materia sembra sempre più difficile da approvare. I dubbi sugli algoritmi delle piattaforme sociali fanno emergere un pressante richiesta algoretica: la tutela dei più fragili socialmente deve essere inserita e garantita in ogni strumento digitale. © riproduzione riservata
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