La terra fa gola a molti. Anche se forse non sempre sono quelli giusti. Potrebbe essere questa la considerazione finale alla quale arrivare dopo aver saputo che la Cina ha già acquistato oltre tre milioni di ettari di terreno in Africa e in Sud America (una superficie pari a Lazio e Abruzzo messi insieme), oppure che un solo cinese - seppur ricco - ha appena acquistato 300 chilometri quadrati di suolo in Islanda. Speculazioni oppure voglia di investire seriamente? Ricerca di fonti proprie di approvvigionamento alimentare o altro? È chiaramente difficile dare una risposta univoca, ma è certo che - soprattutto in momenti come questi - la terra (quello che ci si può fare sopra e quello che si può trovare sotto), continua ad essere oggetto di attenzioni "importanti". Tanto da far delineare a molti rischi seri per il controllo delle produzioni alimentari di prima necessità. Una prospettiva preoccupante, soprattutto quando si pensa che intanto, in Italia, i consumi alimentari sono ulteriormente diminuiti, favorendo la contrazione della produzione già nei guai a causa dei costi di produzione e dei prezzi non esaltanti.
A sollevare il problema è stata la Coldiretti, che spiega come l'acquisto dei terreni in Africa e Sud America avvenga per scopi agricoli, ma che l'interesse si estende anche alle risorse minerarie ed energetiche che vengono sottratte alle comunità locali. Diverso il caso dell'Islanda. L'acquisto di terreno da parte di uno degli imprenditori immobiliari più ricchi in Cina, ha l'obiettivo di realizzare un resort per ecoturismo con un progetto di 100 milioni di dollari.
Ma Pechino non è nuova a queste operazioni e, anzi, dimostra di perseguire una strategia di approvvigionamento alimentare che deve far pensare. Il Paese, infatti, è stato il principale protagonista dell'acquisto di terreni coltivabili nel mondo a partire dal 1995 nello Zambia, per poi investire in 3 milioni di ettari di terreno per la sola coltivazione del riso un po' in tutta l'Africa, oltre che in Messico, Cuba, Laos. È un'operazione effettuata con oculatezza, andando a cercare i terreni migliori e a più buon prezzo. In Africa, per esempio, il terreno costa meno e sono stati firmati accordi in materia di cooperazione agricola che hanno portato all'insediamento di 14 aziende di Stato in Zambia, Zimbabwe, Uganda e Tanzania, mentre si prevede che presto un milione di nuovi imprenditori agricoli cinesi potrebbe essere presente nel continente.
Tutto ciò ha un nome e una condanna. Il nome è "land grabbing" e la condanna è arrivata dalla Fao, perché l'accaparramento di terreni agricoli sottrae le risorse primarie ai Paesi interessati, che spesso si trovano in condizioni di difficoltà economica. Si tratta, secondo la Coldiretti, di una «nuova forma di colonialismo» favorita da una globalizzazione senza regole che tratta le risorse primarie come beni qualunque e favorisce le speculazioni. Ed è difficile dar loro torto.
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