martedì 17 novembre 2020
L'Europa si prepara a caldeggiare l'accesso a internet come nuovo “diritto umano” universale? L'idea di fare della “rete delle reti” il terreno di un decisivo passo avanti, non solo tecnologico ma anche in nome della giustizia e dell'uguaglianza fra tutti gli individui, circola da alcuni anni. Nel 2017 Romano Prodi e la sua Fondazione per la collaborazione tra i popoli riunirono in Vaticano, sotto l'egida della Pontificia Accademia delle scienze, un gruppo di importanti personalità (come Negroponte e Sachs) per lanciare l'iniziativa. Ne scaturì una dichiarazione finale che metteva assieme i principi da cui muovere.
A tre anni di distanza in apparenza poco si è concretizzato. Ma la devastante esperienza della pandemia e la presa di coscienza del ruolo che internet ha avuto – dove ha potuto averlo – per ridurne i danni, sembrano poter rilanciare il discorso. A fine ottobre, ancora su impulso di Prodi, un importante dibattito promosso dal presidente dell'Europarlamento David Sassoli ha posto le premesse politiche e istituzionali per fare dell'Unione europea l'alfiere di un processo che può portare lontano.
Ma occorre una decisa volontà politica, che andrà verificata nei fatti. Per ora si parte dalla constatazione che ben oltre tre miliardi di persone nel mondo (circa il 40 per cento) non hanno accesso al web. E nella stessa Europa quasi un terzo degli studenti (il 32 per cento) non ha potuto avvalersi, durante i periodi di lockdown primaverile, dell'istruzione a distanza, per mancanza di strumenti o di competenze digitali sufficienti ad usarli. Nonostante la rapidità delle innovazioni tecniche, inoltre, alla velocità attuale di diffusione la fruizione universale di internet non sarà possibile prima del 2050.
Proprio da quest'ultimo dato, nel dibattito organizzato da Bruxelles, si è mosso l'inventore del World Wide Web, l'inglese Tim Barners-Lee, per perorare con accenti suggestivi un deciso colpo di acceleratore. Con una spesa di 30 miliardi di dollari (l'equivalente di quanto si spende in un anno nel mondo per bevande gassate!), ha assicurato che si può tagliare il traguardo del “digitale per tutti” entro 10 anni. E visto che il web è nato in Europa, che la Ue ha la capacità e la credibilità che le vengono da quasi settant'anni di dialogo e di collaborazione “tra diversi” (e con un lungo passato da “nemici”), conviene che sia il Vecchio Continente a prendere la guida dell'impresa.
Di particolare rilievo l'appoggio all'iniziativa espresso dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen, che considera l'accesso universale alla connettività una conseguenza logica dell'approccio europeo al tema dei diritti. L'era digitale è solo all'inizio e non possiamo immaginarne ora tutti gli sviluppi possibili. Ma anche per questo è necessario convincersi che internet è ormai qualcosa come l'acqua e l'elettricità: non è un lusso ma un bisogno fondamentale, come la pandemia ha mostrato fin troppo bene. Senza trascurare i rischi per la privacy e di condizionamento verso i più deboli, ma garantendo la centralità della persona umana, come è nei valori fondanti dell'Unione.
Un digitale “antropocentrico”, insomma. Musica per le orecchie di Prodi, che giudica in questa fase la Ue, a differenza di Usa e Cina, l'unico soggetto in grado di compiere “il balzo necessario”. Un Europa, nonostante i suoi limiti, “allenata” da decenni a coordinare sistemi politici e culture di governo diversi. Anche perché, come ha concluso Sassoli, nel dopo-covid, senza veri passi avanti nell'accesso alla rete, per molti abitanti del mondo è certa la prospettiva di trovarsi ancora più in svantaggio di prima. Che internet entri nel novero dei diritti umani, con l'aiuto decisivo dell'Europa, sarebbe in fondo doveroso.
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