Sono accusate spesso di essere troppo piccole, scarsamente innovative e poco capaci di valorizzare i nostri talenti. Eppure le imprese italiane sono le protagoniste della "buona notizia" del 2016 con un record significativo e inatteso. Raggiungendo il massimo storico delle nostre esportazioni, con l'incremento migliore in Europa, hanno battuto la celebrata industria tedesca e portato la bilancia commerciale del nostro Paese a registrare un avanzo senza precedenti nella storia, pari a ben 51,6 miliardi di euro. Si tratta di una performance ancora più ragguardevole, in quanto è avvenuta in una fase complessiva di rallentamento del commercio mondiale.
Il "globalismo" delle imprese italiane è oggi uno dei principali elementi di speranza per il futuro del Bel Paese. Perché rivela che si è concluso con successo il doloroso processo di ristrutturazione delle nostre aziende iniziato negli anni Duemila, quando la concorrenza low cost delle imprese del Far East e degli altri Paesi emergenti ha cambiato radicalmente lo scenario della produzione di beni e servizi nel mondo. Negli ultimi 15 anni la nostra industria ha perso capacità produttiva e posti di lavoro – come è avvenuto in Francia e in parte in Germania – sotto i colpi della gigantesca "fabbrica del pianeta", che comprende oggi la cintura che va dalla Cina al Sud-Est asiatico. Ma interpretando efficacemente il trend internazionale della specializzazione del lavoro, che riserva all'Occidente le produzioni a più alto valore aggiunto, l'impresa italiana ha puntato sull'innovazione di prodotto migliorando fortemente la sua qualità in molti ambiti. La "fame di italianità" nel mondo, infatti, non riguarda solo la manifattura: a guidare la corsa dell'export italiano sono oggi il settore agroalimentare e l'industria farmaceutica.
Percorrendo questa strada, il made in Italy è riuscito ad allargare più degli altri Paesi europei lo spettro dei mercati di destinazione, portando il meglio delle nostre produzioni al di fuori dei tradizionali recinti dell'Unione Europea e degli Stati Uniti: non a caso i mercati esteri in cui abbiamo aumentato maggiormente l'export nel 2016 sono il Giappone (+9,6%) e la Cina (+6,4%). Un riposizionamento geografico che risulta sorprendente: la forte presenza in Italia di piccole e medie imprese dovrebbe, almeno sulla carta, rendere molto più difficile superare le barriere poste all'ingresso dei nuovi mercati.
A rafforzare ancor di più i segnali di speranza, si sta diffondendo in Italia il fenomeno del reshoring: il ritorno nei nostri territori di produzioni manifatturiere che erano volate all'estero, in cerca di costi del lavoro più bassi. La prova decisiva che, nell'era della qualità, l'Italia ha ancora molte carte da giocare.
@FFDelzio
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