Ci sono alcune partite meno finanziarie di quanto possano sembrare. E neanche riconducibili a semplici dinamiche di potere o tanto meno da “salotto”, come vorrebbero alcuni cliché un po’ superati. Pensiamo ad esempio alle Fondazioni bancarie, una delle ultime casseforti d’Italia: a fine 2022, dato del rapporto Acri, agli enti - nati all’inizio degli anni Novanta con la riforma del sistema del credito – faceva capo un patrimonio di 40,5 miliardi di euro.
Nelle prossime settimane gli enti approveranno i bilanci del 2023, e non è affatto escluso che il “tesoretto” non possa crescere, visto
l’andamento dei mercati. Miliardo più miliardo meno, la sostanza però non cambia. E non è semplicemente finanziaria. In un Paese così carente di investitori e di risorse liquide da investire com’è l’Italia, dove il pubblico è ingabbiato dal debito e i privati sono spesso troppo piccoli e in ordine sparso per poter attivare leve significative, le Fondazioni sono rimaste uno dei pochi soggetti
a disporre degli strumenti per realizzare i progetti che decidono di mettere a punto, o per sostenere le cause terze che decidono di sposare. È qui che la leva finanziaria, nei fatti, si trasforma in uno spazio d’azione tutto politico. Ci sono stati diversi
casi scellerati, come ad esempio Mps e Carige e non solo, ma la maggior parte delle 86 Fondazioni è riuscita non solo a far crescere il proprio patrimonio ma anche a diversificarlo: oggi le partecipazioni nelle banche - tra cui spiccanno Intesa Sanpaolo e UniCredit - rappresentano poco più del 20% del patrimonio complessivo e dal 2011 sono scese sotto la metà di portafogli che nel frattempo sono cresciuti. Al contempo, sfiorano ormai i 5 miliardi gli investimenti correlati alla missione degli enti, cioè le iniziative - come l’housing sociale, o più in generale la finanza d’impatto - che le Fondazioni sostengono non solo attraverso le erogazioni ma anche investendo una parte del patrimonio, aspettandosi dunque una qualche forma di ritorno. Numeri che dicono chiaramente come sia in corso un’evoluzione nel sistema delle Fondazioni. Un processo di consolidamento e innovazione
ora in cerca di conferme alla vigilia della nuova stagione che sta prendendo forma in questi mesi. Nelle prossime settimane, infatti, è atteso il rinnovo della presidenza dell’Acri, l’associazione che raduna Fondazioni e Casse di risparmio italiane: al dimissionario Francesco Profumo, presidente uscente della Compagnia di San Paolo, dovrebbe succedere il presidente di Fondazione Cariplo, Giovanni Azzone. Per l’ente lombardo si tratterebbe di un ritorno al vertice associativo dopo la storica presidenza di Giuseppe Guzzetti, ma la notizia più rilevante - secondo indiscrezioni - è che sull’ex rettore del Politecnico di Milano si è formato un consenso unanime, dopo che altre figure di rilievo come il presidente di Fondazione Crt, Fabrizio Palenzona, avevano accarezzato l’ipotesi di correre per la presidenza. Un’Acri capace di giungere a una soluzione unitaria dopo una fase dialettica, e
di dare spazio al suo interno a sensibilità diverse, sarebbe una buona notizia per le sfide che l’attendono: il rinnovo del vertice di Cassa depositi e prestiti, dove le Fondazioni sono azioniste accanto al Mef ed esprimono il presidente, ma anche il ruolo che il sistema intenderà assumere sulle partite pubblico-privato, vecchie e nuove. Prese singolarmente, le Fondazioni sono espressione delle specificità delle comunità territoriali sparse per l’Italia. Nel loro insieme, come “sistema”, hanno saputo difendersi meglio di altri corpi intermedi, restando così uno degli ultimi luoghi in cui oggi, sia a livello locale che nazionale, si può fare politica al di fuori delle logiche e dei ritmi schizofrenici della politica partitica. Il vero tesoro delle Fondazioni, in fondo, è proprio questo.
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