I post che Maria Marzolla pubblica regolarmente sul blog di Robert Cheaib “Briciole di teologia” potrebbero essere raccolti sotto il titolo “Se non diventerete come bambini”. Nell'ultimo ( tinyurl.com/y2qqa3y5 ) l'autrice racconta la speciale pedagogia che sta apprendendo dai suoi figli ancora piccoli, un modello «che parte dall'osservazione e dalla curiosità, attraversa l'imitazione e approda all'azione». Capita con la preghiera, ma la dinamica è la stessa della cucina. Dunque, allorché arriva la domanda: «Mamma, posso stare qui con te a pregare?» (oppure: «Posso cucinare con te? Mi fai vedere come si fa?»), essa significa voler fare le cose “con” e “come” noi, ed è l'esito di una loro osservazione tutt'altro che distratta. Ma quel che più importa è quella fitta serie di “come?” e “perché?” che comincia poco dopo, così limpidi che, perlomeno in materia di fede, «non è raro che da una loro frase o constatazione noi adulti riusciamo a scorgere quel qualcosa che tanto abbiamo cercato e ricercato». Il “caso” o forse il “destino” digitale ha voluto che leggessi, subito dopo questo post di Maria Marzolla, l'articolo che Gigio Rancilio ha pubblicato qui su “Avvenire”, sulla rubrica cugina “Vite digitali” ( tinyurl.com/y5m62gh5 ), a proposito di quando i nostri figli, giunti sulle soglie dell'adolescenza, ci paiono in balia dello «strapotere delle tecnologie». Allora la tentazione è rinchiudersi, impauriti, nel silenzio, proprio quando loro hanno ancora bisogno di «un adulto di cui fidarsi», che sia esperto «non di tecnologie ma di vita». Certo, quando sono piccoli è più facile, ma la dinamica descritta da Maria Marzolla si fonda sullo stesso atteggiamento sul quale raccomanda di puntare Gigio Rancilio: «Fiducia. Che si crea ascoltando e dialogando». Anche quando, in piena adolescenza, sembrano non volerne più sapere di fare le cose “con” e “come” noi.
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