Da quando ho scritto del Metaverso e del futuro del digitale su queste pagine (trovate l'articolo qui ) ho ricevuto decine di messaggi che si muovevano su tre filoni. Il primo: «hai esagerato». Il secondo: «il Metaverso non è così diverso da Second Life». Il terzo: «non voglio niente di tutto questo, mi fa paura».
Andiamo con ordine. Non so se ho davvero esagerato (ce lo dirà solo il tempo), ma so che ho provato a raccontare dove sta andando il futuro della Rete e non solo quello di Facebook. Anche se presentata da Zuckerberg questa rivoluzione ha infatti diversi attori, molti dei quali ricchi e potenti quasi quanto lui o anche di più.
Potrei sbagliarmi, ma questo Metaverso non sarà la copia di Second Life (il mondo di replicanti digitali lanciato nel 2003, undici anni dopo il romanzo Snow Crash che l'aveva immaginato, chiamandolo peraltro Metaverso). Sarà qualcosa di più grande e più complesso. Non solo un mondo popolato da nostre repliche digitali e da persone create apposta da intelligenze artificiali, ma anche e soprattutto un modo nuovo di essere in Rete.
Ha ragione chi ne è spaventato. Perché un futuro così, se non governato a dovere, può fare danni enormi (altro che quelli dei social). Ma non tutto quello che porterà (quando lo porterà) sarà per forza negativo. Pensate solo alla possibilità di connettere familiari che vivono a migliaia di chilometri di distanza grazie a incontri in 3D, così veri (anzi, verosimili) da permettere una comunicazione ben più profonda di quella alla quale siamo abituati ora.
Resta però la domanda più importante: che spazio ci sarà per l'uomo nel Metaverso digitale? Pensare che la si possa eludere o che non meriti risposte al più presto, temo potrebbe rivelarsi un grave errore. Comunque la pensiamo, non sarà possibile infatti chiudere il metaverso – ma sarebbe più corretto chiamarlo il futuro prossimo di Internet – fuori dalle nostre vite. E se anche per età, abitudine, attitudine o scelta riusciremo a farlo per un po' di tempo, la domanda di prima credo non perderà né di attualità né di senso.
Mettiamola così: il lettore potrà anche ignorarla per un po', ma tutti coloro che per studio e per ruolo si occupano dei temi che ruotano attorno all'uomo dovrebbero metterla in agenda al più presto. Ci servono dibattiti, incontri, studi e riflessioni su tutto questo. Ci servono momenti di confronto, ampi, onesti e franchi. Ci servono pensieri profondi e parole di senso che ci aiutino a non sbagliare. A non farci governare dai tecno-entusiasmi ma nemmeno dai tecno-pessimismi.
Quella che abbiamo davanti non è solo l'ultima trovata di Zuckerberg. O meglio: in parte lo è. Perché è vero che l'annuncio del Metaverso gli è servito per spostare l'attenzione dalle malefatte di Facebook e per rilanciare il suo ruolo nel mondo digitale. Ma è altrettanto vero che questa rivoluzione arriverà anche se l'impero di Zuckerberg non dovesse esistere più. Perché la vuole il mercato. La vogliono le aziende digitali. Perché il web ha 30 anni e i social come Facebook ne hanno 17. Per quanto possono andare avanti a soddisfare appieno un mondo, non solo digitale, che sta cambiando molto in fretta?
Una spinta così forte non si può accogliere solo girando la testa dall'altra parte o dicendo «a me non interessa». Servono regole e paletti. Ma soprattutto servono persone che abbiano il coraggio di chiedersi e chiedere a gran voce: che spazio ci sarà per l'uomo nel futuro digitale?
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