Nell'applicazione della sentenza della Consulta sull'intero adeguamento delle pensioni per gli anni 2012-2013, i "diritti acquisiti" vanno sempre rispettati. Così intende chi è convinto del loro riconoscimento senza sconti. Ma anche da parte di chi la pensa diversamente non si nega la loro valenza, pur ritenendo di limitarla alle disponibilità delle casse statali. Tuttavia in questa occasione la Corte ha mutato, anche se non interamente, i suoi precedenti indirizzi. Ha mostrato ora di propendere per il criterio più favorevole ai pensionati, pur se ad altissimo costo per il bilancio statale. Sarà quindi interessante l'imminente decisione in merito al blocco dei contratti degli statali in corso dal 2010: decisione che potrebbe confermare un nuovo indirizzo costituzionale o precisarne l'ambito di applicazione.Il rispetto dei diritti acquisiti non può essere tuttavia un criterio insormontabile quando i bilanci e la ragionevolezza richiedono altri indirizzi. Occorre infatti garantire l'affidamento dei cittadini pensionati nel sistema sociale, ma anche discernere i falsi diritti acquisiti, che in realtà celano privilegi sostanziali, che ancora esistono e che resistono fra le mille pieghe della tecnica previdenziale.Negli sviluppi della vicenda - fatto salvo il decreto del governo per il rimborso parziale della rivalutazione a partire dal prossimo 3 agosto - occorre prestare attenzione, in particolare, anche ai ricorsi di singoli pensionati e ad una presumibile class action sindacale, per il recupero di quanto interamente defalcato dalla pensione. Se l'Inps - come ha sempre fatto - si opporrà alle sentenze positive dei tribunali, le procedure giudiziarie sono in grado di riportare lo stesso contenzioso ad un nuovo giudizio della Consulta che presumibilmente dovrà essere coerente con il primo, salvo indicare nuovi limiti oggettivi o soggettivi ai diritti acquisiti.Non sono poche le sentenze della magistratura che in passato si sono espresse riguardo i diritti acquisiti. Fra le ultime, è la n. 17892/2014 della Cassazione: questa sentenza si riferisce ad un provvedimento della Cassa di previdenza dei ragionieri, una ente che in diverse occasioni ha fatto da apripista sui problemi pensionistici. Nel merito, si è discusso di una parziale riduzione dell'assegno con effetti retroattivi. Secondo la Cassazione, le riduzioni non possono essere giustificate da generiche ragioni finanziarie perché altrimenti si lede l'affidamento del pensionato nelle garanzie della Costituzione. Un criterio che torna di attualità in occasione della proposta Boeri di ridurre le pensioni medio-alte ricalcolandole col sistema contributivo.
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