Barcellona, inizio anni ’80. Ancora povera la zona del porto, rari i turisti. Una piccola targa su un portone: "El Greco": un El Greco in quel palazzo fatiscente? Entrai: mi trovai sola di fronte alla maestà di "El entierro de el Conde de Orgaz", la sepoltura del Conte di Orgaz, anno 1586. Come fossi piombata in quel giorno remoto. Mi ammaliò il viso del defunto: giovane, molto bello, le lunghe ciglia nere sugli occhi chiusi per sempre. Ma, il colorito: esattamente il colore della cenere, quel lividore abbandonato dal sangue che sancisce un superato confine.Come El Greco aveva trovato quell’indicibile sfumatura? Mi parve che avesse fotografato la morte. Straordinaria poi l’anima del defunto che sale e attraverso un grembo uterino rinasce, davanti a Cristo.Oggi a Barcellona quel portone è transennato a ordinare la fila dei turisti, e credo che raramente ci si trovi soli come accadde a me, davanti al Conde de Orgaz. Fu come incontrare un uomo.Molti anni dopo, nell’aspro impatto con il volto di mio fratello morto, ritrovai identico il pallore del Conde de Orgaz. E in noi attorno, nel Terzo millennio, lo stesso ammutolimento stampato sui cortigiani del ‘500 spagnolo.Gli uomini uguali, nel tempo, di fronte a lei, che ci rende in un istante stranieri. Ma quell’anima che nasce al contrario, che nasce al cielo? Cosa vedeva El Greco, genio vagabondo, che noi non vediamo?
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