Gesuita, biblista e cardinale, Agostino Bea. Nato nel 1881 a Riedbhoeringen, nel Baden tedesco, a 21 anni è gesuita e a 31 prete. Studia filosofia, teologia, filologia classica e orientale e a 42 anni lo mandano a Roma: da allora “italiano” ad honorem. Nel 1930 rettore del Pontificio Istituto Biblico e confessore di Pio XII dal 1945 al 1958. Papa Giovanni lo fa cardinale e presidente del Segretariato per la promozione dell’unità dei cristiani, fino allora molto marginale. Al Concilio lotta per l’unità di tutti i cristiani e per il dialogo con gli ebrei. Pareva uno scandalo: 4 secoli di scomuniche con i protestanti, 8 con gli ortodossi e 20 con gli ebrei! Nel Venerdì Santo risuonava in tutte le Chiese quel “Pro perfidis judaeis”: in latino voleva dire “per gli ebrei senza fede”, ma quel “perfidi” valeva come in italiano. Papa Giovanni lo cancellò e volle che lui prendesse contatto con il grande ebraista Jules Isaac, autore di un celebre libro, “L’insegnamento del disprezzo”. Bea divenne presto il bersaglio di chi non voleva novità con ebrei e protestanti, ma non osava prendersela con il Papa. Fu battaglia aperta anche in Concilio, ove le accuse risuonavano in latino, ma su riviste e giornali in volgare. Lui bersaglio fisso: traditore, massone, falso cattolico, dilapidatore della fede di Cristo, peggiore di Giuda! Rispose con incontri e studi: sempre sottovoce, signorile, imperturbabile. Famoso un articolo nel 1962 commissionato dalla “Civiltà Cattolica”, con titolo specifico: “Sono gli Ebrei un popolo deicida e maledetto da Dio?” Lui rispondeva che no, e condannava ogni forma di antisemitismo. Quell’articolo uscì su due riviste, in francese e tedesco: non su “Civiltà Cattolica”!
Anni di fuoco, per il Concilio. Inizi difficilissimi: in meno di due anni tenne 26 conferenze in tutto il mondo a nome della Santa Sede. Tra i primi sostenne la validità del Battesimo anche nelle Chiese protestanti e a Roma fu detto pubblicamente “eretico”. Per il Concilio grande il suo lavorìo sui documenti, in particolare sulla Chiesa, sulla Parola di Dio, sull’ecumenismo naturalmente, sul dialogo con gli ebrei e sulla libertà religiosa. Il 13 ottobre del 1962, due giorni dopo l’apertura del Concilio, ottenne che papa Giovanni ricevesse ufficialmente gli osservatori delle altre chiese e comunità cristiane. Un inizio prodigioso, anche grazie al carisma personale del papa: fiducia, rispetto, amicizia. Giovanni XXIII però era già malato, e morì il 3 giugno. Il 19, entrando in Conclave, lui disse ai suoi amici: «tra due giorni avremo il nuovo Papa, e si chiamerà Paolo VI».
Montini continua l’impresa dell’unità e, inaudito fino allora, proclama: «Se alcuna colpa abbiamo, ne chiediamo perdono». Seguono pellegrinaggio a Gerusalemme e incontro con il patriarca di Costantinopoli Atenagora, e con altri patriarchi. Sul testo relativo agli ebrei, però, è ancora bufera: il 10 settembre 1964 in Giordania le campane di tutte le chiese cattoliche suonano a morto, per protesta contro il testo fraterno, che tuttavia passa. Passa anche il testo sulla “libertà religiosa”: ciascun uomo deve essere libero di accettare o rifiutare liberamente la sua religione, senza costrizione alcuna. Fu l’ultima battaglia in Concilio. Durante i lavori Bea tenne 4 relazioni ufficiali e 19 discorsi a titolo personale. Durante quegli anni ‘80 relazioni in tutto il mondo, 34 conferenze e grandi interviste sui media. A fine Concilio ha 84 anni, e dedica gli ultimi tre anni a pubblicazioni e conferenze in tutto il mondo. Muore il 16 novembre 1968. Sappiamo come poi è andata. Giovanni Paolo II alla Sinagoga di Roma e ad Assisi, 1986, e ancora a Gerusalemme, sulla spianata del Tempio, nel 2000, e il grande mea culpa, e poi Assisi 24 gennaio 2002, fino ad oggi. Senza Agostino Bea, gesuita e cardinale del dialogo e della fraternità universale tutto sarebbe stato diverso. La strada è ancora aperta.
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