mercoledì 13 novembre 2013
Il vecchio di cui raccontiamo ha sentito il vento soffiare innumerevoli volte; ma ce n'è una che conta più di tutte. Aveva pochissimi anni, stava in cucina con la mamma, nella prima casa dei suoi ricordi. Era una cucina piccola e stretta. E si sentiva il muggito del vento, lontano, poi sempre più vicino: le raffiche crescendo s'incuneavano nel paese, fino ad abbassarsi (pareva) sul breve tetto sopra di loro. Sua madre aveva detto: «Il babbo del vento». Il vento lui lo conosceva già: ma quello divenne il primo della sua vita. La pioggia invece l'aveva imparata anni dopo, in Veneto, dove la sua famiglia si era trasferita. Era solo, forse leggeva, in una specie di tinello dalle pareti esagonali, tutte finestre, del villino dove ora abitavano: e la pioggia scendeva fitta e continua, senza scrosci, schizzando a tratti i vetri. Da quando durava? Il bambino la guardava, contro le piante del giardino, su quei vetri. Ma anche leggeva, forse faceva i compiti. La pioggia la conosceva da sempre: era nuova la sensazione che adesso gliene veniva. Difficile dire quale: d'una malinconia irrimediabile, e incomunicabile, e insieme d'uno strano, indicibile conforto. Anche quella pioggia divenne la prima della sua vita. Il vecchio ci torna col pensiero: ora che non bada più alla pioggia e al vento.
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