«E se il tuo sogno, al fondo di una strada di salite e discese, lo realizzasse chi non immagini, un amico, qualcuno che ti sta vicino, e non tu? E un giorno ti trovassi a guardarlo, questo amico, e a domandargli: tu? Non ci credo! Sarebbe gioia piena lo stesso? Dico, lo smacco sarebbe tale oppure no, oppure aprirebbe ad altro?». È l'apertura di uno degli ultimi post di Paolo Rodari, che siede oggi alla Repubblica alla scrivania "vaticanista" che fu di Domenico del Rio e di Marco Politi. Sul suo profilo Facebook, forte di cinquemila amici meno qualcuno (cioè appena al di qua del limite che separa i profili personali dalle pagine pubbliche), quasi mai rilancia i propri articoli e raramente insiste sui temi dell'attualità ecclesiale del momento, oppure lo fa in modo tangenziale. Dà spazio piuttosto a riflessioni personali, misurati ricordi, moti dell'anima. Malgrado ciò, o forse grazie a ciò, si fa molto apprezzare, a giudicare dalla quantità e dai toni delle "reazioni" che ogni sua presa di parola si guadagna.
È così anche per questa che sto commentando. Di più, l'ho sentita come estremamente coinvolgente sia per l'esame di coscienza che suggerisce a quelli i cui sogni realizzati (da loro o dagli amici al loro posto) sono più numerosi di quelli ancora da realizzare, sia per l'esempio che offre a quelli il cui cassetto ne è ancora pieno. Ci ho riconosciuto, come in quasi tutti gli altri post di questo profilo, un'impronta cristiana implicita ma ben leggibile. In particolare, qui, ho udito un'eco dell'inno paolino alla carità. Più magnanimità (persino la parola suona inattuale!), ovvero un cuore più grande, renderebbe migliore la vita: non quella dell'intera umanità sofferente, ci mancherebbe, ma quella quotidiana, che per tanti si degrada in sterili frustrazioni e solitarie invidie. "Sarebbe gioia piena" è infatti la risposta, che condivido, alle domande d'apertura. «La strada non è realizzare, ma amare continuando a sognare».
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: