Capita che dagli attori dell’infosfera ecclesiale incontrati grazie a questa rubrica mi giungano segnalazioni, che volentieri raccolgo. È il caso, in questi giorni, di suor Cristiana Scandura, che mi suggerisce un post su Facebook (bit.ly/3HpwRta) abbastanza anomalo rispetto alle consuetudini della sua pagina: la religiosa, clarissa presso il monastero di Biancavilla (Catania), promette ai 6mila follower che vi troveranno «Vangelo, preghiera, santi, riflessioni, canti», ma le «riflessioni» – come questa – sono abbastanza rare. Titolo: «Dedicato alle persone di mezza età». Tema: come le persone possono attraversare questa fase della vita e come la comunità cristiana potrebbe accompagnarle. Reazioni: oltre 150 (tutte di apprezzamento), comprese quelle sulla pagina social del blog “Vino Nuovo”, che ha fatto suo il post. Ma prima di tutto bisogna intendersi sul significato dell’espressione “mezza età”: i soliti rapidi click sui motori di ricerca mi consentono di collocarla tra i 45 e i 60 anni, il che risponde alla carta d’identità di suor Scandura e anche alla dettagliata descrizione resa dalla religiosa nella parte centrale del post. «Non si riesce a fare agevolmente ciò che prima si faceva con estrema facilità, ma non ci si vuole arrendere... i ricordi sono un po' confusi come un giorno di nebbia e di caligine... sul viso cominciano a fare capolino le prime rughe...». Ma soprattutto «si tirano le somme della vita che si è vissuta fino ad allora, perché si ha la percezione viva che il tempo che ci sta davanti si accorcia sempre di più».
La Chiesa e i cinquantenni
La parte più originale (e più apprezzata online) del post è la prima, in cui l’autrice rimprovera la Chiesa per la scarsa attenzione che rivolge ai cinquantenni: «Talvolta durante la liturgia mi indispettisco, anche se cerco di non darlo a vedere, quando leggo nei formulari di preghiera le intenzioni che riguardano i giovani e gli anziani»; «mi aspetterei un pensiero, un ricordo nella preghiera rivolto a Dio anche per le persone di mezza età, ma niente, rimango puntualmente delusa». Di qui «la risoluta decisione di pregare ogni giorno in modo particolare per esse. Naturalmente, prima di far parte di questa “categoria” non ci facevo molto caso, ma ora è diverso...». La conclusione di suor Scandura è comunque positiva: «Sono convinta che possiamo vivere questo tempo come una sfida positiva, come il tempo in cui, facendo tesoro delle esperienze passate, possiamo portare frutti saporosi, i frutti di un amore maturo». Sulla stessa lunghezza d’onda ho trovato un altro autore molto attivo in rete, don Renato Pilotto, creator digitale nella diocesi di Padova, dove collabora con le Comunicazioni sociali e con molte altre realtà digitali. Mentre si appresta ad andare oltre la “mezza età” scrive su Facebook (bit.ly/3S5B0r1): «Sono arrivato a pagina 60 del libro della vita: sto imparando a osservare, a leggere, sto imparando a scrivere, a incontrare, a dialogare... ho ancora tanto da imparare per vivere. Ringrazio Dio per tutti i granelli di vita che mi ha donato».
Quando arriva la malattia
Credo si possa legare al tema della “mezza età” dei cristiani anche un altro post di questi giorni, comparso ancora su “Vino Nuovo” (bit.ly/3S2ty02) a firma di Marco Ceriani. Il tema qui è l’irrompere della malattia (anche se non grave, non cronica, non degenerativa) nella vita di un cristiano comune e come egli vive la solitudine e la prova di un ricovero ospedaliero. Anche se l’autore non avesse dichiarato i suoi 47 anni e quindi, implicitamente, la sua appartenenza alla “mezza età”, questa è suggerita dalle domande che egli si pone immaginandosi, un domani, davanti a diagnosi più pesanti. Colpiscono la franca confessione dell’iniziale fragilità spirituale sperimentata, le successive riflessioni accompagnate dalla preghiera, il sostegno trovato ricevendo l’Eucaristia: «Ho assaporato in quel momento il contatto fisico con Dio: era come ricevere l’abbraccio di un vecchio amico, uno di quelli con cui ci si capisce al volo e con cui non bisogna spendere tanto tempo in parole e spiegazioni; anzi, spesso queste sono più d’impiccio che altro. Non l’ho pregato, l’ho abbracciato». Chi ha memoria (e speriamo che siano tanti) delle testimonianze cristiane conosciute nel periodo in cui la pandemia ha più pesantemente infierito sulle vite delle persone ritroverà accenti simili nel testo di Ceriani. Compresi il dubbio sulla sincerità di quell’aggrapparsi all’Eucaristia, l’interrogativo sul perché del male nel disegno di Dio e la speranza che Gesù Cristo sia la risposta.
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