«Ho dubbi sul pacifismo per l’Ucraina» È legittimo discutere di scelte laceranti
martedì 27 febbraio 2024
Caro Avvenire, da “vecchissimo” assiduo lettore e abbonato faccio fatica a riconoscermi nell’enfasi che l’edizione del 24 febbraio (anniversario della barbara invasione russa dell’Ucraina) riserva alle “anime belle” del pacifismo cattolico e laico, «Gli irriducibili della pace». A me sembra piuttosto la celebrazione di una sconfitta. Tutti vogliamo la pace. Ovvio affermare che le guerre cesserebbero se le fabbriche di armi chiudessero. Più discutibili le scelte imposte dalla realtà che, come in questo caso, comportano non l’opzione tra il male e il bene, ma la scelta inevitabile tra due mali. Ed è proprio la dottrina cattolica a suggerirci l’inevitabilità della scelta del male minore. Lorenzo Fellin Padova Caro professor Fellin, la sua lettera, che ho dovuto scorciare, tocca un tema oggettivamente doloroso e che - penso, per esperienza personale - non lascia nessuno con l’animo sereno, se in buona fede nelle proprie posizioni.
Chi testimonia e opera per la pace come bene supremo non può non sentire anche la ferita inferta da un’invasione gravemente ingiusta e irrispettosa dei più fondamentali diritti dei singoli e del popolo ucraino, sapendo che la pace non sanerà necessariamente tale vulnus. Chi sostiene che è doveroso offrire sostegno materiale e militare alla resistenza di Kiev per non darla vinta alla Russia di Putin e tutelare anche il resto d’Europa dalle spinte espansioniste ed imperialiste del Cremlino non può non vedere con sgomento le decine e decine di migliaia di morti sul campo di battaglia e le singole storie di sofferenza e di disperazione provocate dagli strumenti che contribuiamo a portare al fronte. Il silenzio delle armi è certo meglio dell’esplodere delle bombe e del fragore dei missili. Questo deve essere il nostro punto di partenza, ma le situazioni concrete chiamano a un difficile - e spesso lacerante - discernimento. Non è un caso che anche la dottrina cattolica abbia teorizzato le condizioni di una “guerra giusta” e, quindi, accettabile moralmente. Oggi, di fronte alle possibilità di un’apocalisse atomica, anche questa distinzione vacilla. Personalmente, ritengo che le sue considerazioni sull’opportunità di un più deciso e tempestivo appoggio Nato all’Ucraina siano plausibili: forse avrebbe accorciato il conflitto, ridotto le perdite umane e costretto Mosca a un accordo accettabile per tutte le parti. Oggi la situazione è estremamente complessa e non è facile intravedere una via di uscita dalla crisi
che devasta il cuore del Continente. Tenere vive le ragioni della politica, del negoziato e di una pace che non penalizzi l’aggredito è perciò irrinunciabile. Ovviamente, i governi e la società civile lo faranno con modalità e sensibilità diverse. Ciò non appare in contraddizione con l’evitare che si realizzi una situazione in stile Afghanistan, dove un ritiro repentino delle forze occidentali dopo un lungo impegno - ben più discutibile di quello in Ucraina - ha creato caos e drammi nel Paese rimasto nelle mani dei taleban. In definitiva, tra chi abita le pagine di “Avvenire” da autore o lettore nessuno - e semplifico - pacifista o “interventista” che sia merita ironie o critiche preventive. Ragioniamo insieme, caro Fellin, guidati dalle voci più autorevoli, a partire dal magistero del Papa, per trovare la via più efficace per garantire il bene di tutti, fatto insieme di vita, libertà e giustizia. © riproduzione riservata
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