L'Inps è un ente «discriminatorio». Così ha deciso il Tribunale di Milano che ha colto in fallo l'istituto di previdenza, reo di aver tenuto una condotta censurabile nei riguardi di molti beneficiari di assegni familiari. La colpa dell'Inps - ha sentenziato il giudice il 20 maggio - è riscontrabile nella circolare n. 4 del 15 gennaio scorso. Questa nota ribadisce che gli assegni familiari concessi dai Comuni, ma pagati dall'istituto, spettano ai nuclei familiari con almeno tre figli minori, composti da cittadini italiani o comunitari residenti in Italia. Una direttiva europea del 2009 (poi intimata all'Italia nel 2013) ha esteso il diritto agli assegni comunali anche agli extracomunitari «soggiornanti di lungo periodo» e ai loro familiari che abbiano diritto a soggiornare in Italia.L'Inps ha deciso di applicare questa direttiva disponendo che per l'annualità 2013 abbia effetti a partire dal primo luglio, e ha indicato quindi ai Comuni di liquidare gli assegni solo da questa data. Il giudice ha deciso però che la vicenda debba essere valutata in base ad una lettura della legge «comunitariamente orientata» e contro ogni disparità di trattamento. La distinzione operata dall'Inps, relativamente al primo semestre 2013, nega gli assegni ai richiedenti esclusivamente per la loro condizione di stranieri. Oltre a dover cambiare circolari e procedure in ossequio alla sentenza, l'Inps è stato condannato anche a pubblicare sul sito internet il testo dell'ordinanza per consentire ai cittadini interessati la più ampia conoscenza. Tuttavia, a parte evidenziare il fatto sul sito, l'istituto non sembra volersi adeguare alla condanna. Si tratta infatti solo di un primo grado di giudizio, e ha deciso quindi di ricorrere in appello e di richiedere la sospensione del provvedimento fino alla sentenza in secondo grado.Assegni e non solo. La posizione dell'Istituto non è peregrina. Dietro questa piccola contesa, entra in gioco anche il criterio fondamentale del tempo di applicazione delle norme che, alla luce della nuova sentenza, potrebbero diventare retroattive anche quando non vi sia nella legge una chiara ed esplicita disposizione. Il Tribunale di Milano, pur avendo deciso in base a motivi di equità e di buon senso, ha introdotto il criterio della «lettura della legge orientata». Questo inedito indirizzo potrebbe interessare e trovare facile applicazione anche per ben altre questioni della previdenza, come «quota 96» per molti insegnanti nel settore scolastico, «l'opzione donna», e non ultimi anche numerosi «esodati», che da tempo lottano tutti contro i paletti cronologici (e non solo) piantati dalla riforma Fornero.
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