Martedì il Parlamento tornerà per l’ennesima volta a riunirsi in seduta comune con all’ordine del giorno l’elezione del quindicesimo giudice costituzionale che manca ormai da quasi un anno, da quando nel novembre 2023 si è concluso il mandato di Silvana Sciarra (che della Consulta era anche presidente). Purtroppo tutto lascia prevedere l’ennesima fumata nera dopo quella di martedì scorso. La realtà è che un organo cruciale del nostro sistema repubblicano è costretto da mesi a lavorare con una composizione che non corrisponde a quella delle norme costituzionali. Non è un problema formale ma sostanziale, perché quella composizione (i giudici sono nominati per un terzo dal Presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento e per un terzo dalle “supreme magistrature”) corrisponde a un equilibrio particolarmente delicato, tanto che di regola la sostituzione di un membro scaduto e il reintegro del plenum ordinario dovrebbe avvenire entro un mese. La gravità della questione emerge con chiarezza dal tenore delle parole che il Capo dello Stato ha usato a luglio, incontrando la stampa parlamentare. Ha parlato infatti di «un vulnus alla Costituzione compiuto dal Parlamento, proprio quella istituzione che la Costituzione considera al centro della vita della nostra democrazia». Conoscendo la misura che caratterizza gli interventi di Sergio Mattarella, non si può non pensare a un estremo tentativo di scuotere le forze politiche. E la decisione del presidente della Camera, a cui spetta la convocazione del Parlamento in seduta comune, di riunire deputati e senatori tutte le settimane è certamente un segno di riscontro al richiamo del Quirinale. Ma tutto dipende dai rapporti tra i partiti. La ragione dell’abnorme ritardo nell’elezione di un giudice non è nella pigrizia dei membri delle Camere, ma in un disegno politico preciso: a dicembre scadono altri tre giudici di nomina parlamentare, e con quattro posti complessivamente vacanti si apre la possibilità di fare un corposo “pacchetto”, con la maggioranza che si assicura almeno tre giudici su quattro e magari co-decide il quarto privilegiando il meno sgradito dei partiti di opposizione. Sempre che tutto vada secondo i piani. Nei primi tre scrutini il quorum è pari ai due terzi e dal quarto si attesta sui tre quinti: per quanto sulla carta i numeri ci siano, nessuno può avere l’assoluta certezza di un esito positivo. Con il rischio che per un certo periodo la Corte si ritrovi con il minimo dei membri previsti (undici) per il suo funzionamento, così che un impedimento anche momentaneo potrebbe provocare la sua paralisi. Ma a parte questo problema pratico tutt’altro che marginale, è proprio l’idea del “pacchetto” a non essere accettabile per un organo come la Consulta. Ancora Mattarella: «Ricordo che ogni nomina di giudice della Corte costituzionale non fa parte di un gruppo di persone da eleggere, ma consiste, doverosamente, in una scelta rigorosamente individuale, di una singola persona meritevole per cultura giuridica, esperienza, stima e prestigio di assumere quell’ufficio così rilevante». Un conto è valorizzare il pluralismo delle aree culturali, un altro è ritenere di poter applicare lo spoil system anche al “giudice delle leggi” come se si trattasse del gabinetto di un ministero o del consiglio d’amministrazione di una società partecipata.
© riproduzione riservata
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: