È un successo. Il fatto che il prestigioso settimanale inglese Economist abbia riconosciuto la risalita sui mercati internazionali che contano dei nostri vini con le bollicine, è sicuramente una di quelle notizie che fanno bene. Così come lo sono anche quelle relative alla notevole mole di risorse che alcuni comparti agricoli avranno a disposizione dai contratti di filiera approvati dal Cipe. Si tratta di regali di Natale importanti per aiutare il sistema agroalimentare a continuare sulla strada della crescita.
L'Economist, dunque, ha riconosciuto che il nostro Spumante e il nostro Prosecco danno per davvero del filo da torcere al magari più blasonato Champagne francese. Il settimanale britannico spiega, infatti, che le vendite di Prosecco sono raddoppiate negli ultimi 15 anni e suggerisce la possibilità che il vino italiano sia ormai, beneficiando dei minori costi di produzione, in competizione con lo champagne francese. E non basta, perché dopo aver saturato il mercato tedesco, gli italiani sarebbero alla ricerca di nuovi spazi per l'esportazione. Nel Regno Unito, per esempio, le vendite sono aumentate di cinque volte dal 2000 ad oggi. Una situazione molto simile è quella vissuta dallo Spumante che ha aumentato del 22% le esportazioni per arrivare al traguardo delle 50 milioni di bottiglie vendute in giro per il mondo. Certo, lo Champagne non ha mancato di mostrare le unghie anche in Italia. Il mercato italiano dello Champagne " stando ai dati diffusi dal Centro Informazioni Champagne in Italia " sarebbe in piena effervescenza e mostrerebbe una crescita superiore alla media mondiale. A fine settembre l'export verso l'Italia è cresciuto del 7,6%. Mentre per numero di bottiglie il nostro Paese è al quinto posto nel mondo. I numeri e gli addetti ai lavori, tuttavia, indicano una strada chiara. Chi vuole vincere su un mercato così difficile e complesso deve fare attenzione al rapporto qualità/prezzo ma anche ai canali di distribuzione, alle strategie di marketing, agli accordi commerciali.
Strategie e accordi fanno parte integrante anche della bontà dei contratti di filiera approvati dal Cipe e che complessivamente portano ai settori dell'olio, delle agroenergie e del frumento duro circa 70,8 milioni e la concessione di agevolazioni per circa 55,5 milioni. Previsti, quindi, investimenti nella qualità e nella sua certificazione, nelle tecniche di produzione ecocompatibile e nella formazione professionale, senza dimenticare ovviamente la promozione e il marketing.
Ma, accanto a tutto questo, deve crescere e consolidarsi una politica della collaborazione, dell'integrazione e della cooperazione che spesso ancora manca in Italia. Una mancanza che nel nostro Paese, altrettanto frequentemente, esplode in rabbiose contrapposizioni di parte e in incomprensioni fra attori del sistema agroalimentare nazionale che non fanno bene a nessuno e che non conducono a nulla. È probabilmente questo l'ostacolo più serio da oltrepassare per accelerare davvero lungo il cammino dello sviluppo.
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