C'è un paragrafo del Documento di economia e finanza 2017, il "piano strategico" delle politiche economiche del Governo (approvato una decina di giorni fa), che è passato inosservato, ma potrebbe avere effetti di straordinaria importanza sul piano sociale. Qualche settimana dopo l'annuncio da parte dell'Istat di un nuovo e triste record negativo per la natalità nel nostro Paese – soltanto 474 mila nascite nel 2016 – il documento accennava alla possibilità di introdurre una misura innovativa per raddrizzare la nostra curva demografica: sgravi fiscali per rendere vantaggioso il lavoro del secondo percettore di reddito. Ovvero, nell'81% delle famiglie bi-reddito italiane, per abbassare le tasse sul lavoro della donna.
Dopo la politica dei "bonus" applicata alle nascite – prima il "bonus bebè", poi il buono per il pagamento delle rette degli asili nido – che non sembra aver dato i risultati sperati, un intervento sull'Irpef a favore del secondo percettore di reddito sarebbe la via maestra per rendere più facile la scelta delle madri di continuare a lavorare dopo la nascita dei figli. Si tratterebbe, peraltro, di una misura che non darebbe adito a dubbi di incostituzionalità, a differenza di altre come una tassazione differenziata per genere o per quoziente familiare.
L'efficacia di una riforma fiscale di questo tipo è ben spiegata da un'analisi di Chiara Rapallini pubblicata da Lavoce.info e affonda le sue radici nella "rivoluzione" della relazione tra occupazione femminile e numero medio di figli per donna, avvenuta in Europa negli anni Duemila. Negli anni Ottanta e Novanta del Novecento questa relazione era negativa: il numero medio di figli per donna era più alto nei Paesi dove si registravano più bassi tassi di occupazione femminile. Ma negli anni Duemila la stessa relazione è diventata positiva: il numero medio di figli per donna è più alto laddove i tassi di partecipazione femminile al mercato del lavoro sono più elevati. Oggi i Paesi UE con tasso di occupazione delle donne molto alto – tra il 72 e l'83% – come Svezia, Danimarca, Olanda e Francia – sono gli stessi nei quali si registrano i tassi di fecondità più elevati, tra l'1,7 e il 2%. All'opposto nei Paesi – come Italia e Spagna – con tassi di occupazione femminile tra il 50 e il 70%, la natalità è inchiodata a livelli tra l'1,3 e l'1,4%. Non a caso si registra la stessa dicotomìa tra Nord e Sud Italia: le regioni meridionali fanno registrare attualmente i livelli più bassi sia di occupazione femminile che di natalità.
È dunque necessario abbandonare al più presto il "falso mito" della donna che può realizzarsi felicemente solo in una delle sue due sfere fondamentali, la cura dei figli e il lavoro. Usando il nostro sistema fiscale per spezzare quella spirale perversa che oggi penalizza le donne italiane. E che contribuisce a condannare il nostro Paese a un presente senza culle.
@FFDelzio
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