Carolus Molari: così per me, firmato a nome del Sant’Uffizio di allora (1965) il permesso di leggere i libri proibiti o comunque dannosi contenuti nel cosiddetto “Indice”. Era prete dal 1952, assistente “teologico” per gli alunni del Seminario Romano Maggiore, di grande aiuto per cominciare a capire qualcosa in materia. Allora era anche “minutante” in servizio del Sant’Uffizio. Ho letto che Vito Mancuso ha scritto di lui che era come «la teologia in persona». Chi lo ha conosciuto non può che essere d’accordo, vista la lunga vita di don Carlo e la sua produzione teologica di grande spessore. Nato a Cesena il 25 luglio del 1928, laureato in teologia e diritto alla Lateranense, dove insegnò dal 1962 al 1978. Qualcuno lo nominò anche “monsignore”, ma lui si guardò bene sempre dall’aggiungere questo titolo al suo semplice nome. Dal 1961 al 1978 fu dunque aiutante di studio della sezione dottrinale del Sant’Uffizio stesso. Nel 1972 fu eletto dai colleghi Segretario dell’Associazione teologica italiana, allora presieduta da Luigi Sartori. Nel 1974 l’ex Sant’Uffizio, ora Dicastero per la Dottrina della Fede, dopo la pubblicazione del libro “La fede e il suo linguaggio”, ispirato in particolare alla teologia di Teilhard de Chardin, gli impose la cessazione di ogni insegnamento teologico. Obbedì, naturalmente come sempre, ma restò sempre vivo all’interno della Chiesa con scritti e conferenze molto apprezzati dal popolo dei credenti che avevano vissuto la stagione liberatoria del Vaticano II. Lui dal 1977 al 2011, 40 anni, fu assistente religioso all’Istituto San Leone Magno retto dai fratelli maristi a Roma. Accettò la misura punitiva e il 14 febbraio 1978 chiese e ottenne di andare in pensione: aveva allora soltanto 50 anni! Ne ha vissuti altri 44, fino al 19 febbraio 2022, nella sua Cesena. Torno a Vito Mancuso, che ricorda alcuni passi di don Carlo dalla sua “memoria” che Marietti pubblicò nel 1986: «Io so che il mio cammino è sostenuto alimentato da un amore grande, da una forza che non posso accogliere completamente in poco tempo, ma solo passo dopo passo, lungo tutto il tragitto verso il compimento, per cui mi affido, apro il mio cuore senza riserve.… Io non so, ma Tu sai, io non posso, ma tu vuoi alimentare il mio sviluppo, posso diventare capace di attraversare ogni situazione… Io debbo diventare vivo, non c’è nessuno che mi possa sostituire in questo compito: divento attraverso ogni gesto che compio ogni pensiero che sviluppo ogni rapporto che intrattengo per cui sono consapevole della grande responsabilità che ho di fronte a te e di fronte al mondo».
Don Carlo ha parlato spesso delle sue “conversioni” teologiche, con il passaggio centrale della sua cristologia, ma il criterio della “conversione” è applicato da lui anche alla stessa Chiesa come tale. Non si tratta di convertire tutti al Cristianesimo, ma di testimoniare i valori annunciati da Gesù in modo che tutti accolgano il progetto di Dio e diventino uomini autentici. La conversione continua riguarda tutti, e tutte le religioni: recuperare la centralità di Cristo, certamente, ma senza per questo negare tante altre forme di conversione-rivelazione che hanno arricchito la vita dell’umanità nei secoli.
Leggo ancora: «Molari non si è limitato a fare teologia, è piuttosto arrivato ad essere teologia. Il frutto più maturo delle sue conversione riguarda non la teologia, ma la sua umanità, non il teologo ma l’uomo». Per questo lui è stato anche maestro di spiritualità per tanti fratelli accostati nei suoi diversi impegni, credenti e non credenti, vicini e lontani, amici e ostili… Che altro dire? Proprio in questi giorni si è parlato di cambiamenti ai vertici della “Dottrina della fede”. Potrebbe essere – forse dovrebbe essere – anche l’occasione per ripercorrere le misure punitive nei confronti di Carlo Molari, e anche di altri che nel corso dei decenni hanno conosciuto solo la censura e l’allontanamento forzato. Quanti danni sono stati provocati da misure emarginanti oggi riconosciute improvvide? Rendere giustizia ai fatti e alle persone oggi può essere anche un servizio alla Chiesa e alla fede. Forse varrebbe la pena di tornare all’“Indice” di cui qui all’inizio, ma non dei libri proibiti bensì dei pensieri e dei doni non sempre riconosciuti dalla stessa Chiesa al Dio di Gesù Cristo, padre di tutti gli uomini e di tutte le donne chiamati alla vita: terrena ed eterna insieme.
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