Don Raffaele Bensi, caso unico: mai trovato qualcuno che ne abbia parlato male apertamente. Anzi…Eppure nei lunghi anni in cui certi ambienti di Chiesa criticavano ferocemente don Lorenzo Milani, lui che dalla conversione alla morte ne era stato confessore e consigliere spirituale ebbe il coraggio di definirlo «l'immagine più eroica del cristiano e del sacerdote che abbia mai conosciuto». Chissà quante sagrestie avranno masticato male, e lo farebbero ancora! Alla sua scomparsa il cardinale Silvano Piovanelli, nuovo arcivescovo di Firenze ha lasciato questo elogio: «È stato come un vescovo nella nostra città. Un punto luminoso di riferimento. Un sacramento personale di Gesù che accoglie e perdona. Un padre sempre pronto ad ascoltarti, a farti coraggio di mettersi sulle orme del Cristo con le ali dell'entusiasmo. Senza di lui non saremmo quello che siamo». Eppure di figure illustri negli anni della sua presenza della sua azione, a Firenze, c'è stata abbondanza: Giorgio La Pira, Ernesto Balducci, Davide Turoldo, e lo stesso don Lorenzo. Lui, nato a Scandicci l'11 febbraio 1896 è prete dal 6 aprile 1919. Da subito l'incarico che sarà quello unico di tutto il suo ministero: curato a San Michele, in via dei Servi a pochi passi dal centro con la Cattedrale e la sede dell'Azione cattolica, de "La Voce" e della stampa cattolica. Punto di riferimento di migliaia di giovani da entusiasmare e chiamare al servizio dell'uomo e della Chiesa, non in competizione, ma in quella mirabile alleanza in cui Dio si abbassa ed entra nella nostra vita. Hanno scritto che il suo motto era questo: «L'uomo si agita e Dio lo conduce». È l'unico suo programma. Nel 1922 è assistente di Italia nuova per la formazione degli studenti delle superiori in dialettica forte con il fascismo e fino al 1932 dirige le pagine del giornale cattolico. È incaricato cappellano della San Vincenzo giovanile, dove incontra un giovane professore siciliano che si chiama Giorgio La Pira ed ha fondato un Circolo per i militari aperto a tutti i giovani in servizio di leva. Dal 1926 per 40 anni insegna religione nella scuola pubblica superiore. Qualcuno ha calcolato in 35.000 gli studenti che hanno incontrato la sua testimonianza e il suo fascino di maestro testimone di fede, e di originale inventore che attira l'attenzione e porta a Gesù. Ecco il ricordo di una sua alunna, sorpresa: «Era un prete diverso da tutti gli altri…Pareva proprio un ragazzo come noi. In Paradiso, diceva, faremo le capriole con gli angeli. Ci educava alla libertà, all'amicizia e all'amore, ci insegnava la ricerca dell'essenza delle cose, dell'essere e non dell'apparenza»… Tra tutti gli altri suoi "servizi" quello di punto di riferimento di molti preti nella stagione del Concilio e poi in quella inquieta dell'immediato dopo e in particolare della vicenda intricata dell'Isolotto, e allora arriva la proposta dai vescovi toscani per la nomina di don Raffaele a vescovo ausiliare di Firenze, ma a Roma qualcuno si oppone: troppo diverso, troppo originale, e poi troppo libero. Così: semplice vice parroco continua il suo lavoro nascosto e prezioso fino alla morte nel Giovedì Santo del 1985, il 4 marzo. Si vuole nascosto! Ordina nel Testamento che vengano distrutti documenti, lettere e carte che mettono in rilievo la sua paternità e anche i bisogni e le necessità di tanta gente. Segno che per conto suo, come sempre, non gradiva di apparire, ma solo di servire. «Dimenticato»? Per fortuna sono - siamo - tanti a ricordarlo padre come maestro, madre come tenerezza, fratello e confratello come vicinanza, servo per scelta continua. Sulle orme di un Altro!
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