Benedetto Calati? Leggendone il nome molti potranno chiedersi chi sia mai stato, ma certamente non coloro che l’hanno incontrato anche una sola volta: la sua umanità di amicizia senza limiti, la sua spontaneità nell’abbracciare chiunque facendolo sentire al centro delle sue attenzioni non consentiva la dimenticanza. Chi poi lo ha frequentato nel suo ministero e magistero dottrinale carico insieme di memorie e di speranza non potrà certo dimenticarlo facilmente. Nasce a Pulsano, presso Taranto, il 12 marzo 1914. Fin da piccolo frequenta i conventi carmelitani e a 16 anni chiede l’ingresso nell’eremo di Camaldoli, che resterà per sempre legato al suo nome. Studia filosofia e teologia a Fano, in seminario e poi a Roma, presso i domenicani all’Angelicum, è ordinato prete ed è nominato maestro dei benedettini camaldolesi in formazione nel monastero di Fonte Avellana presso Pesaro. Si dedica allo studio delle fonti camaldolesi, che resterà suo impegno per tutta la vita, e nel 1951 il Capitolo generale lo
nomina procuratore presso la Santa Sede e superiore del monastero di San Gregorio al Celio a Roma. Chiamato da padre Cipriano Vagaggini comincia a insegnare Spiritualità monastica medievale al Pontificio ateneo Sant’Anselmo di Roma e conserva questa cattedra per più di un trentennio. Assolutamente eccezionale la sua capacità di accogliere le persone più diverse sia dal punto di vista religioso che dal punto di vista sociale e politico: l’incontro con lui era sempre un abbraccio anche quando non fisico certamente spirituale e paterno. Memorabile la sua capacità di creare amicizia senza pretese, capace solo di donare e di accogliere chiunque. L’elenco degli “amici”, grandi e piccoli, noti o sconosciuti riempirebbe la pagina. Arriva il Concilio e lui, allora superiore del monastero di San Gregorio al Celio, lo trasforma in sede di incontri e di scambi spirituali e intellettuali non solo cattolici, ma anche ecumenici, fino allora guardati anche visibilmente con diffidenza da molte autorità religiose. Ospita perciò tra gli altri padre Davide Turoldo, Ernesto Balducci, Mario e Vilma Gozzini, Giancarlo Zizola, Mario Melloni – il celebre corsivista de “L’Unità”! – e Raniero La Valle. Nel Capitolo generale del 1969 è nominato all’unanimità “Priore generale della Congregazione Camaldolese dell’Ordine di San Benedetto”. Lo resterà fino al 1987, quindi per 18 anni. Le sue idee centrali: attenzione alla parola di Dio, primato della persona su ogni legge umana, anche ecclesiastica, e accoglienza per tutti. Con i Fratelli ebrei inizia una serie di colloqui, soprattutto a Monte Giove. Così l’eremo di Camaldoli e il monastero di San Gregorio al Celio diventano e restano per anni sinonimo di accoglienza fraterna, e insieme quasi materna nei suoi gesti di affetto che sorprendevano continuamente. Capitò anche a me, quando lo portai a casa dei miei genitori, e l’abbraccio bacio con mia madre fu immediato e ricambiato. Tra l’altro dal 1984 debbo personalmente a lui la celebrazione del matrimonio nella chiesa di San Gregorio. Suscitatore di speranza e di attesa dei segni dei tempi, definito «il monaco camaldolese più importante del ‘900 e tra i più grandi che il millenario ordine di San Romualdo annoveri nelle sue file», padre Benedetto muore a Camaldoli il 21 novembre del 2000. Spesso negli anni su Avvenire è tornato il ricordo della sua vita e dei suoi scritti. Ovvia l’impossibilità, qui, di approfondire le dimensioni di questa vita, di questo studioso, di questo monaco, di questo scrittore, di questo animatore di speranza nella cui vita soffiava sempre fedeltà e novità, mi pare giusto segnalare letture possibili: Sapienza monastica (saggi di Benedetto Calati) (Studia Anselmiana, 1994, pagine 598), Conoscere il cuore di Dio. Omelie per l’anno liturgico (Edb, 2001), e Raffaele Luise La visione di un monaco. Il futuro della fede della Chiesa nel colloquio con Benedetto Calati (Cittadella editrice, 2000).
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