Si chiamava Giuseppe, ma tutti lo conoscono come David, e poi padre David Maria Turoldo. Da giovane aveva i capelli rossi, e per gli amici era “Beppo il rosso”. Friulano di Coderno di Secondigliano, nasce il 22 novembre 1916 da famiglia povera e intensamente cristiana. Intelligente e tenace, studia: a 19 anni si fa frate tra i Servi di Maria e a 24 è prete a Milano, nel 1940. Per quasi 13 anni celebra e predica in Duomo attirando l'attenzione di tutti: i fedeli vanno per ascoltarlo e seguirlo, in tanti, ma fascisti e tedeschi sono lì per denunciarne le parole che spesso suscitano anche qualche sospetto della Curia, che teme la sua franchezza scomoda per tutti i poteri che non servono l'uomo…Tempi duri: lui celebra, predica, scrive, fonda una rivista clandestina, “l'Uomo”, ove pubblica testi teatrali e poetici come inni liturgici e traduce in poesia i Salmi biblici. Si impegna anche nella Resistenza, padre David, e poi nell'assistenza a poveri e orfani, tanti ovunque dopo la tragedia della guerra, e va a Nomadelfia accanto a don Zeno Saltini, uno come lui, pazzo per Dio e per l'uomo. A Milano fonda un centro culturale, la “Corsia dei Servi”, per attività religiose e anche civili che disturbano i poteri di Stato, e anche qualcuno di Chiesa…E allora nel 1953, certo anche su pressioni da Roma lo mandano all'estero, dove resta quasi 10 anni. Cambia però il vento di Chiesa: Angelo Roncalli, Giovanni XXIII lo stima: ricambiato. Arriva il Concilio: David torna in Italia e si stabilisce nell'abbazia di Sant'Egidio a Fontanella, presso Sotto il Monte, patria del “Papa buono”. È entusiasta del vento del Concilio, e dopo il 1963 fonda un Centro di Studi ecumenici in onore di papa Giovanni, continua a parlare e scrivere, in prosa e soprattutto in poesia, difendendo i poveri e raccontando l'avventura umana con versi scarni e possenti, contro tutte le tirannie, civili e religiose, economiche e culturali. Grande e grosso, debordante di energia, voce tonante, mani potenti che si agitano quando parla, e incendia…Con lui o si è amici o non lo si sopporta: campi frequentati ambedue. Amato o detestato, seguito o odiato. Vuole con forza un rinnovamento della sua Chiesa nel modo di essere cristiani, preti e laici insieme, ad ogni livello: povertà visibile, umiltà di presenza, rispetto per i lontani, silenzio interiore e resistenza al conformismo di ogni potere…La sua opera poetica, quasi trenta libri, canta la sua fede, che diventa poesia, scolpita in una lingua tutta sua, spigolosa, ma chiara, che colpisce attirando o respingendo, mai ovvia; profondamente
biblica, ma moderna; popolare e semplice, ma anche colta e aspramente inquietante. Lui è nella Chiesa, apertamente, fedele e anche critico, obbediente e anche libero, dolce e provocatorio, pienamente cristiano e insieme veramente umano nella vita e anche nella poesia, in cui domina la ricerca della verità, posseduta in Cristo per tutti gli uomini, resa scabra dall'esperienza del dolore, e anche della morte, soprattutto innocente…A fine anni '70 si ammala di cancro, che lo consuma lentamente, ma inesorabilmente. Lui in versi chiama la sua malattia “il drago”, e paradossalmente, come sempre dà scandalo parlando della morte come da sempre sua “coinquilina”…“sentita come una presenza che aiuta a vivere…senso della vita e concretezza di tutto quello che ho cantato", motivo di speranza senza fine…E la morte arriva, lui ormai è consumato davvero, il 6 febbraio 1992. L'ultima sua omelia, ripresa poi in tv nell'annuncio della sua partenza da questo mondo, parlava della gioia di «cantare…portando il Cristo tra le braccia», fino alla fine. La presentiva, questa fine, in alcuni tra i suoi ultimi versi. Così:
«Non so quando spunterà l'alba/ non so quando potrò/ camminare per le vie del tuo paradiso/ Non so quando i sensi/finiranno di gemere/ e il cuore sopporterà la luce./ E la mente (oh, la mente!)/ oggi già ubriaca,/ sarà finalmente calma/ E lucida: e potrò vederti in volto/ senza arrossire…». Padre David, prete e poeta, cantore della fede in Cristo: quindi in Dio e nell'uomo.
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