
Sono passati cinque anni da quando John Frederick Nole ha lasciato il carcere di massima sicurezza di Filadelfia e due da quando ha cominciato a tornarci regolarmente. «Ogni 15 giorni circa – spiega – mi fermo davanti ai cancelli, però».
Nole è rimasto in cella mezzo secolo, da quando era un ragazzino fino a quando, 67enne e fisicamente anziano, ne è emerso con la speranza di trovarsi un impiego. «Ero disposto a fare qualsiasi cosa – dice – lavare bagni, lavorare di notte, fare consegne. Ma non appena scoprivano che ero stato dentro, non avevo più notizie».
Nole è andato avanti grazie al sostegno della famiglia, ma non sopportava di non rendersi utile, né di vedere altri ex carcerati tornare liberi, scontrarsi con la realtà e poco dopo finire di nuovo in prigione. «Il sistema gioca contro chi è stato incarcerato – continua –. Facciamo fatica a trovare qualcuno disposto ad affittarci una casa e a sfuggire alla povertà e alla disperazione che ci hanno portati dietro le sbarre». Ogni anno più di 600.000 persone vengono rilasciate dalle carceri americane. Oltre il 60% finisce ancora in manette nel giro di tre anni. L’80% entro dieci.
A fine 2022 Nole ha offerto i suoi servizi a un’organizzazione cristiana, Yokefellowship, che accompagna gli ex detenuti dopo il rilascio. Il suo ruolo è andare a prendere chi emerge dalle porte di metallo del complesso da quattromila posti letto dove ha passato quasi tutta la sua vita. «Li porto dove devono andare, offro loro un pasto caldo e compro qualche vestito, li oriento un po’», dice Nole, che non è pagato ma riceve un rimborso per le sue spese.
In due anni ha dato un passaggio a 44 persone ed è diventato co-direttore del programma per gli ex detenuti. «Avere qualcuno che ti prende per mano quando esci è fondamentale – dice –. So quanto sia duro adattarsi alle regole della società quando non si ha una guida».
Nole è cresciuto in uno dei quartieri più poveri di Philadelphia con 11 fratelli e un padre alcolizzato. A 8 anni ha passato tre mesi in un riformatorio per un piccolo furto, a 10 altri sei. Aveva 17 nel 1969, quando con due amici entrò in un negozio di dolciumi armato di una pistola giocattolo, prese un po’ di moneta e scappò.
Più tardi apprese che il proprietario – un immigrato di 81 anni – era morto di un aneurisma addominale. Nole, che è afroamericano, venne processato come un adulto. L’accusa, guidata da una procuratrice che più tardi è diventata famosa per aver richiesto la pena di morte più di qualsiasi altro pubblico ministero, sostenne che Nole aveva spinto la pistola nello stomaco del negoziante, contribuendo alla sua morte. Il ragazzo negò, ma la giuria impiegò solo due ore per condannarlo all’ergastolo.
Nole è stato rilasciato nel 2019, dopo che la Corte Suprema ha decretato che le condanne all’ergastolo per i minori sono crudeli e le ha annullate.
«Penso di aver subito una punizione ingiusta, ma non sento di aver sprecato la mia vita – dice oggi – in prigione ho capito che quello che ho fatto quando ero giovane era perché non vedevo qual era il mio posto nel mondo. Ora sì, e sono grato a chi mi ha guidato in questo percorso». Fra le persone che lo hanno aiutato cita i “capi” del suo blocco di celle, che gli hanno insegnato che aveva qualcosa da offrire, e i docenti che gli hanno permesso di ottenere un diploma delle superiori. Anche grazie a loro, dice, ha potuto creare in prigione un centro dove i detenuti potevano giocare con i loro bambini in visita.
Ma la cosa più preziosa che il carcere gli ha dato è sua moglie, Susan Beard-Nole, una volontaria di una chiesa locale che ha sposato nel 1984, senza sapere se avrebbero mai vissuto insieme.
Nell’ultimo anno Nole ha cominciato a sollecitare donazioni da privati, nella speranza di pagare il primo mese di affitto a chi esce di prigione e non ha un posto per dormire. La donazione che lo ha più toccato è un assegno da 1.000 dollari di un gruppo di ergastolani, che li avevano raccolti con impieghi carcerari da 25 centesimi l’ora. Quando l’ha ricevuto Nole era commosso, ma non sorpreso. «I miei amici dentro sono gli unici a capire davvero tutto quello che ho passato».
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