Il prossimo Giubileo (2025) sarà ufficialmente di “speranza”. Dal 1300 andava da sé che fosse di “penitenza”, annunciato e gestito dal Papa a Roma. Unica eccezione nel 1350: in quell’anno Roma visse il suo Giubileo, ma non vide mai il Papa, Clemente VI. L’aveva proclamato lui, s’intende, ma quella Porta Santa non la passò mai. Il Conclave ci aveva messo solo 3 giorni ad eleggerlo. Era il 7 maggio del 1342 e già da 30 anni i Papi erano ad Avignone, e lui era francese. Di qui questa scelta di eccezione: confratello di Francia, qui d’Italia ad honorem. Di nome era già Pietro – un presagio – e di cognome Roger. Grande curriculum: licenziato in teologia, abate di Fecamp, vescovo di Arras, Sens e Rouen, e anche anche Guardasigilli del re Filippo VI. Si chiamò per nome scelse Clemente, e come Papa non badò a spese. Anzi: nel 1348 per 800mila fiorini comprò dalla regina Giovanna di Napoli, signora di Provenza, la signoria di Avignone. Affare fatto: lui stava bene lì, col Rodano al posto del Tevere, ma con tantissime spese, e per non andare in rovina aumentò tutte le tasse: pensate come gli volevano bene! In politica estera fu energico: depose e scomunicò Ludovico il Bavaro, sostituito con Carlo di Moravia, si alleò con Venezia contro i Turchi, cominciò a interessarsi della Romagna, che poi fu pontificia per cinque secoli. Gli andò male per la pace tra Francia e Inghilterra, e con i briganti nel Sud della Francia. Lui, il Papa: e Roma? Era lontana. A ricordarla, ogni tanto, ci pensarono in molti: Petrarca, Brigida di Svezia, persino Cola di Rienzo. Reagiva come don Abbondio col cardinale Federigo: «Che santi uomini, che sante donne, ma che tormento!». Prometteva a tutti, ma poi niente. Promise anche il Giubileo, e il “suo” del 1350, pur non vedendolo mai a Roma, – fu un successo strepitoso: dopo la peste del 1348 e il terribile terremoto romano del 1349 la penitenza andava a mille. Scrive il cronista Matteo Villani: «Essendo di poco tempo stata la generale mortalità in diverse parti di Europa, i fedeli cristiani con tanta devozione ed umiltà seguivano il romeaggio e con molta pazienza sopportavano i disagi del corpo, che era uno smisurato freddo e ghiacci e nevi e acquazzoni, e le vie tutte disordinate e rotte, i cammini pieni di dì e di notte, gli alberghi e le case non erano sufficienti a tenere i cavalli e gli uomini al coperto». Ne scrisse anche il Petrarca: «Cammina l’Ibero, insieme col Cimbro, con il Britanno, col Greco, con lo Svevo dalla fulva coma». I tedeschi allora li chiamavano Svevi. La gente moriva nel cammino e per le strade dell’Urbe, ma tutti erano contenti: tanto andavano dritti dritti in Paradiso! E Clemente? A Roma non venne. A governare il Giubileo mandò il povero Annibaldo da Ceccano, con pieni poteri «per la riforma del rovinoso stato dell’Urbe». Non era un granché, Annibaldo. Santa. Brigida lo chiamava «scimmione». Per prima cosa pensò di abbreviare i tempi della penitenza. Non più 15 giorni obbligatori, ma in un solo giorno si poteva fare tutto e avere la perdonanza. Fu la rivolta dei commercianti, che vedevano volar via i guadagni. Una volta mentre Annibaldo andava in processione solenne a San Paolo da una finestra lo presero a frecciate. Una gli si conficcò nel cappello. Scrivono che si impressionò tanto, batteva le mani e diceva: «Dove sò io venuto? A Roma deserta. Meglio me fora essere in Avignone piccolo pievano che in Roma granne prelato!» Il povero Annibaldo scappò a Napoli, e morì poco dopo. E Clemente? Guardava da lontano: scomunicò i «preti birboni», quelli che usavano le confessioni per farsi pagare. Voleva metterne un pò in carcere. Condannò anche i canonici di san Pietro: non rispettavano la regola che tutti i soldi delle elemosine fossero impiegati per ricostruire Roma dopo il terremoto dell’anno prima. Ma era lontano, e non lo prendevano sul serio. Un Giubileo
senza papa? Pazienza! Lui stava bene ad Avignone. Morì due anni dopo, il 6 dicembre 1352, e volle una tomba tutta di marmo nero. Hanno scritto che era così tanto amato che in morte non lo pianse nessuno. Riposi in pace!
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