Caso Salis, quando l’ideologia prevale sulle ragioni umanitarie e del diritto
venerdì 2 febbraio 2024
Caro Avvenire, ho alcune domande da porre. Nordio ha detto che la giustizia ungherese «è sovrana»: anche quella iraniana quando condanna a morte le donne che indossano male il velo? Pure in quel caso la sentenza è “a norma di legge”. Che mestiere fa l’ambasciatore, nello specifico l’ambasciatore italiano in Ungheria: organizza feste? Il Regno Unito, patria dell’Habeas Corpus, è uscito
dalla Ue perché mal sopportava di stare in un luogo in cui le persone vengono legate con catene? L’Ungheria è in Europa, l’Italia è in Europa: chi è fuori posto, noi o loro? Salvatore Varvaro Caro Varvaro, le sue domande sono opportunamente provocatorie sul caso di Ilaria Salis, la maestra e attivista italiana che da quasi un anno è in carcerazione preventiva a Budapest, accusata di lesioni aggravate. La famiglia ha chiesto aiuto e i media si sono occupati della vicenda senza che le nostre autorità muovessero i necessari passi (compreso, pare, l’ambasciatore Manuel Jacoangeli, sebbene vada concessa a tutti la presunzione di innocenza). Soltanto la diffusione di immagini dell’imputata portata in aula quasi fosse Hannibal Lecter nel film Il silenzio degli innocenti ha acceso l’attenzione sulle umilianti condizioni di detenzione e la prolungata violazione delle garanzie processuali. Non si può non indignarsi di fronte a quella scena in tribunale, aggravata dal fatto che il permesso alle riprese tv segnala come per la giustizia ungherese non vi sia nulla da nascondere o di anomalo nel trattamento inflitto alla nostra connazionale. D’altra parte, a chi vuole vedere molto era già noto: l’Ungheria è sotto procedimento Ue per violazioni dello Stato di diritto, ha ricevuto condanne dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e la Procura generale di Milano ha ritenuto di ritardare un’estradizione verso Budapest a motivo del mancato rispetto delle norme carcerarie. Non possiamo nemmeno girare intorno all’altro tema chiave: Salis, aderente a un gruppo antifascista di estrema sinistra, è sospettata - lei nega risolutamente e le prove sono lacunose - di avere partecipato al pestaggio di alcuni neonazisti durante un raduno nostalgico. Rappresenta, quindi, in Ungheria un “bersaglio” politico. Da parte italiana, nella sottovalutazione ad alti livelli, malgrado le denunce giornalistiche, possono avere pesato il rapporto sintonico tra Roma e Budapest e il profilo di Salis. La circostanza è stata esplicitata dal vicepremier Salvini, che ne ha contestato il ruolo pubblico di insegnante prima ancora che una sentenza sia pronunciata. Vedremo se l’amicizia della premier Giorgia Meloni con il suo omologo Viktor Orbán servirà a favorire od ostacolare una soluzione nei termini di arresti domiciliari in Italia. Rimangono l’amarezza e la preoccupazione per il prevalere di posizioni ideologiche, in entrambi i Paesi (comprese le opinioni pubbliche), che paiono oscurare le ragioni della giustizia imparziale, del rispetto e della tutela dei cittadini della propria nazione, quando si manifestano differenze di visioni o le persone coinvolte sono ritenute ostili o avversari. Un riflesso che si è visto recentemente anche verso alcuni organi d’informazione. L’appartenenza all’Europa, caro Varvaro, concordo con lei, dovrebbe invece spingere tutti ad abbracciare gli ideali umanistici, liberali e democratici che ne sono alla base. © riproduzione riservata
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