«Beato Guido di Pietro Trosini»! Un “beato” a sorpresa? Sì! Eppure siamo tanto abituati a chiamarlo “beato”, aggiungendo solo un’altra parola e sempre pensando ad altro, cioè a meravigliose immagini più che a lui, che se ti fermi soltanto al “beato”, e aggiungi Guido di Pietro Trosini, ti arriva secca la domanda manzoniana: «Chi era costui?» Calma! È tutt’altro che un Carneade! Infatti Guido di Pietro Trosini era, ed è, il Beato Angelico. Ora basta il nome. Altro contesto: beato e pittore! Leonardo da Vinci ha scritto che «la pittura è una poesia muta, e la poesia è una pittura cieca», aggiungendo che «l’una e l’altra va imitando la natura quanto è possibile alle lor potenzie». Eccolo allora, e con molta “potenzia” tutta sua il nostro Beato: vita, opere, morte e forse anche miracoli, dal momento che Beato lo è anche ufficialmente.
Nasce a Vicchio del Mugello, sull’Appennino sopra Firenze, tra il 1395 e il 1400, e nel 1418 è frate Domenicano col nome di Fra’ Giovanni da Fiesole, ma è già noto come di “dipintore”, avendo iniziato a meravigliare tutti con le sue miniature per libri liturgici, oggi gioielli da museo. Nel 1425 emette i voti solenni, ma ha già dipinto tanto, per esempio uno straordinario san Girolamo oggi in Gran Bretagna, risultando un vero innovatore, che aggiunge alla ricchezza dei colori e di fantasia del passato, la novità del gioco di masse e di prospettiva, nel solco del grande Masaccio, ma in piena originalità.
Sono anni di attività gigantesca: pale d’altare a pannelli plurimi oggi sparsi per il mondo. Basti ricordare il “Cristo in gloria” della National Gallery di Londra, con 250 figure intere di santi attorno al Redentore sfavillante nel cielo azzurro e oro. Qualche scampolo – come dire? – di catalogo: la celebre Annunciazione oggi a Madrid, nel Prado, il Giudizio Universale dipinto in casa, a San Marco di Firenze, con la Madonna dei Linaiuoli, e l’Incoronata oggi al Louvre. Forse Leonardo non l’ha detta tutta giusta: questa pittura non è poesia muta, perché parla tanto, e parla a tutti.
Arriva il 1436 e fra’ Giovanni, con tutti i confratelli, si trasferisce a Firenze, nel Convento di san Marco, per volontà di Cosimo de’ Medici, che da lui vuole la straordinaria serie di affreschi che oggi, a sei secoli di distanza, restano sbalorditivi preannunci della bellezza divina mescolata a quella di questo mondo: Crocifissione, Trasfigurazione, la celeberrima Annunciazione all’entrata del dormitorio dei frati, sintesi piena di terra chiamata a diventare cielo.
La fama di fra’ Giovanni però si diffonde, e nel 1445 arriva da Roma una chiamata cui non si può dire di no: Papa Eugenio IV lo vuole a Roma, e gli affida molti affreschi in Vaticano. Mentre lavora per il Papa, però, fra’ Giovanni viaggia anche a Orvieto, dove con l’allievo Benozzo Gozzoli affresca in Cattedrale le storie di San Brizio. A Roma poi per vari anni, in particolare si impegna per la Cappella di Niccolò V. Ma sempre frate domenicano è, e i suoi lo richiamano a Fiesole, priore del suo convento: resta lì per tre anni, dal 1449 al 1452, poi è richiamato a Roma, nel convento di S. Maria sopra Minerva, accanto al Pantheon, dove muore il 18 marzo del 1455.
Angelico: il nome gli è dato probabilmente da Giorgio Vasari, biografo principe degli artisti di quei secoli, sia per la dolcezza delle sue immagini sia per il gran numero di angeli che le arricchiscono. Santo subito? Macché! A proclamarlo beato ci ha pensato dopo 529 anni Giovanni Paolo II. A sentirci come “beati” davanti alle immagini evocate dal suo nome e dal suo genio sono in tanti…siamo in tanti. Meglio tardi che mai: la bellezza di quaggiù è ufficialmente di casa anche in Paradiso.
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