Ha fatto bene “Settimananews” ( tinyurl.com/yxz8blql ) a portare all'attenzione della Rete e dei cristiani non modenesi un intervento che il vescovo della città emiliana, don Erio Castellucci, ha formulato a proposito dell'opportunità di portare in chiesa i propri animali da compagnia. In merito lo aveva interpellato Sandrone, la maschera di Modena, durante il tradizionale «sproloquio» di carnevale ( tinyurl.com/y4j9b9z3 ), ed è a lui che l'arcivescovo ha risposto, il 30 maggio, sulla “Gazzetta di Modena”. Ma sia l'argomento, sia i generi letterari che monsignor Castellucci ha scelto per affrontarlo appaiono decisamente a misura di web – oltre a testimoniare che si possono toccare questioni serie come i modi della nostra partecipazione alla santa Messa anche a partire da un aspetto secondario quale la presenza degli animali. Per prima cosa il vescovo si mette dal punto di vista dei diretti interessati: nel caso specifico intervista «Minù, la signorina gatto che da tre anni abita nel cortile della curia». La quale ribalta sulla «specie umana» le accuse di «disturbare la liturgia» solitamente rivolte agli animali e rivendica a cani e gatti il diritto di comportarsi reciprocamente secondo le proprie regole «difensive», che in chiesa non sono effettivamente adeguate. Da ultimo assesta al vescovo un'unghiata: «A dire il vero non vedo molti umani così felici, quando escono dalla chiesa. Perché allora volete portarci noi?». Segue un suo più meditato scritto di grande saggezza felina. Secondo Minù gli animali sono a disagio se li consideriamo «eccessivamente umani»; d'altronde lodano già il Signore con la loro esistenza e il loro affetto verso di noi. Dunque, conclude la gatta, «non è opportuno» (voleva dire «non expedit», ma ha preferito farsi intendere da tutti) che li portiamo in chiesa, se non «a ricevere una benedizione; ma solo quando è prevista». Da Castellucci l'aggiunta di una sola chiosa: «Non esistono regole precise nel diritto canonico; la grande regola deve essere il buon senso».
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