Per sopravvivere e, anzi, crescere, è meglio andarsene dai campi italiani oppure rimanerci? La domanda non è retorica. Perché la nostra agricoltura sta vivendo un momento di grande fermento - crisi di mercato a parte - e si ritrova a fare i conti, spesso positivi, con due tendenze: da una parte quella di chi punta all'estero, dall'altra quella di chi guarda alla ulteriore valorizzazione dei prodotti locali. In mezzo, come sempre, i consumatori.
è notizia recente la firma di un accordo fra Confagricoltura e ministero delle Attività Produttive per l'internazionalizzazione dell'agricoltura italiana. Non è una semplice intesa per la valorizzazione dei prodotti tipici nel mondo, ma per un'azione più vasta che porti gli imprenditori agricoli ad investire - e quindi acquistare - all'estero aziende e terreni. Ovviamente - spiegano a Confagricoltura - contando sulle dimensioni tipiche delle imprese agricole. Tutto parte dall'esperienza degli agricoltori italiani in Romania. Che contano già 1.150 aziende agricole e 486 industrie agroalimentari. Ma l'obiettivo è l'allargamento degli italiani in tutta l'area Balcanica per passare poi al Mediterraneo e al Nord America. Insomma, fra breve potremmo vedere imprese agricole italiane trapiantate in alcune delle aree agricole "forti" del pianeta.
Anche questa, è chiaro, può essere una soluzione alla crisi dei mercati. Così come può esserlo il puntare ancora una volta sui prodotti tradizionali. In questa direzione va, per esempio, il rilancio delle cosiddette Deco cioè le Denominazioni Comunali. Un vero e proprio strumento di valorizzazione del territorio e dei suoi prodotti - inventato da Luigi Veronelli ma mai utilizzato per davvero - che il prossimo sei maggio troverà il suo primo riconoscimento pubblico in un incontro organizzato ad Alessandria a cui prenderà parte anche il Governo e dove sono stati invitati tutti i sindaci del Paese. Vale la pena di provarci, visto che il solo valore al consumo dei prodotti a denominazione di origine nazionali è pari a 8,5 miliardi di euro.
Rimangono, tuttavia, il giudizio e le abitudini dei consumatori. Che nel tempo può cambiare come sta accadendo per il vino. Secondo un'indagine svolta da Winenews e presentata a Vinum, una delle manifestazioni enologiche più note, sembra che il prototipo del consumatore di vino classico sia al tramonto e lasci il posto ad altre figure. Il 53% degli intervistati, infatti, considera fondamentale la possibilità di conoscere il contesto rurale nella sua totalità. Il 35% si definisce "viaggiatore raffinato del gusto" e considera il vino solo come un pretesto per organizzare un week-end all'insegna del gusto. Soltanto il 12% del campione ha per principale motivazione del proprio viaggio l'esplorazione delle cantine e le degustazioni di vino. Interessante poi la cifra che si è disposti a spendere: 200-250 euro in media per un fine settimana. Insomma, dalla crisi dei campi i modi per uscire ci sono e sono tanti.
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