L'industria italiana è viva e "lotta" con successo nella competizione mondiale. Lo indicano i dati diffusi ieri del Centro Studi di Confindustria, in felice coincidenza con lo svolgimento a Torino del G7 dell'industria manifatturiera, che confermano un'accelerazione della ripresa della nostra produzione industriale dopo il crollo negli anni bui della Grande Crisi. La riscossa dell'industria tricolore è trainata sia dalla domanda di beni durevoli da parte degli italiani, che hanno ripreso a consumare grazie al miglioramento del reddito disponibile delle famiglie e all'incremento dell'occupazione, sia dalla riqualificazione dell'offerta, soprattutto in virtù dei "successi" di quella parte dell'impresa italiana che riesce a spingersi oltre il mercato domestico. Oggi abbiamo a disposizione, dunque, una somma di buone notizie e di segnali positivi che (finalmente) può farci considerare strutturale la ripresa del Pil nazionale. E che forse può restituirci l'orgoglio di un Paese manifatturiero che tradizionalmente sa far bene (e con gusto) le cose.
Naturalmente non è il caso di tirar fuori dal frigo lo spumante migliore. Nel 2005 l'Italia era la quinta potenza manifatturiera mondiale – dopo Stati Uniti, Cina, Germania e Giappone – mentre oggi è scivolata al settimo posto, superata da Corea del Sud e India. Inoltre il sistema industriale tedesco e quello francese hanno recuperato produzione, competitività e produttività molto più velocemente del nostro. Infine, la sfida più complessa per l'industria italiana non è dietro le spalle, ma davanti a sé. È l'avvento della Quarta Rivoluzione Industriale: ovvero internet of things, big data, intelligenza artificiale e robotica. Si tratta purtroppo di una partita che si giocherà sui terreni del volume degli investimenti in ricerca, dell'innovazione dei processi produttivi e delle nuove competenze, non esattamente quelli preferiti da un Paese come il nostro che nell'ultimo decennio ha perso il controllo di molte grandi aziende, che da sempre non eccelle per il volume degli investimenti in ricerca e sviluppo e che ha perso la sua storica eccellenza nella formazione professionale.
Numerosi Governi hanno già messo in campo nuove politiche industriali, come quelle di "Industrie 4.0" in Germania, di "Industrie du Futur" in Francia, di "Society 5.0" in Giappone o del piano italiano "Industria 4.0", varato un anno fa e di cui possiamo già verificare gli effetti positivi. Ma la vera rivoluzione sarà, come sempre, affidata agli uomini: alla capacità dei nostri imprenditori manifatturieri e dei nostri manager di spostare nei prossimi anni la "linea di confine" dei processi e dei prodotti più in là dei loro competitors, almeno nei (numerosi) settori industriali di nicchia nei quali siamo già leader a livello mondiale. Scommettiamo che non tradiranno il nostro orgoglio produttivo?
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