Il Signore ci consola con la tenerezza, come fanno le mamme che accarezzano il loro bimbo quando piange. Lo sottolinea Papa Francesco stamani alla Messa a Casa Santa Marta, esortando a lasciarci consolare da Dio e a non opporre resistenza. (Debora Donnini – Vatican News)
Non opporre resistenza alla consolazione
La Prima Lettura tratta dal Libro del profeta Isaia (Is 40,1-11), infatti, è proprio un invito alla consolazione: “Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio”, perché “la sua colpa è scontata”. Si tratta, quindi, della “consolazione della salvezza” evidenzia il Papa, della buona notizia che “siamo stati salvati”. Cristo Risorto, in quei quaranta giorni, con i suoi discepoli fa proprio questo: consolare. Ma “noi non vogliamo rischiare” e “opponiamo resistenza alla consolazione” come se “fossimo più sicuri nelle acque turbolente dei problemi”: “facciamo la scommessa sulla desolazione, sui problemi, sulla sconfitta” mentre il Signora lavora con tanta forza ma trova resistenza. Lo si vede anche con i discepoli la mattina di Pasqua: “ma io voglio toccare e assicurarmi bene”. Questo perché si ha paura di un’altra sconfitta.
La tenerezza: una parola che il mondo di oggi cancella dal dizionario
“Noi siamo attaccati a questo pessimismo spirituale”, dice il Papa. Francesco va, poi, col pensiero a quando nelle udienze pubbliche alcuni genitori gli fanno avvicinare i bambini perché li benedica e “alcuni bambini - dice - mi vedono e strillano, cominciano a piangere, perché, vedendolo vestito di bianco, pensano al dottore e all’infermiere, che gli ha fatto le punture per i vaccini e pensano: “No, un’altra no!”. Anche noi siamo un po’ così ma il Signore dice: “Consolate, consolate il mio popolo”.
E come consola, il Signore? Con la tenerezza. E’ un linguaggio che non conoscono i profeti di sventura: la tenerezza. E’ una parola cancellata da tutti i vizi che ci allontanano dal Signore: vizi clericali, vizi dei cristiani un po’ che non vogliono muoversi, tiepidi … La tenerezza fa paura. “Ecco, Egli, il Signore ha con sé il premio, la sua ricompensa lo precede”: così finisce il brano di Isaia. “Come un pastore Egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna. Porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri”. Questo è il modo di consolare del Signore: con la tenerezza. La tenerezza consola. Le mamme, quando il bambino piange, lo accarezzano e lo tranquillizzano con la tenerezza: una parola che il mondo d’oggi, di fatto, cancella dal dizionario. Tenerezza.
La consolazione nel momento del martirio
Il Signore invita a lasciarsi consolare da Lui e questo aiuta anche nella preparazione al Natale. E oggi, nell’orazione colletta – ricorda il Papa – abbiamo chiesto la grazia di una sincera esultanza, di questa gioia semplice ma sincera:
E, anzi, io direi che lo stato abituale del cristiano dev’essere la consolazione. Anche nei momenti brutti: i martiri entravano nel Colosseo cantando; i martiri di oggi – penso ai bravi lavoratori copti sulla spiaggia della Libia, sgozzati – morivano dicendo “Gesù, Gesù!”: c’è una consolazione, dentro; una gioia anche nel momento del martirio. Lo stato abituale del cristiano dev’essere la consolazione, che non è lo stesso dell’ottimismo, no: l’ottimismo è un’altra cosa. Ma la consolazione, quella base positiva … Si parla di persone luminose, positive: la positività, la luminosità del cristiano è la consolazione.
Il Signore bussa alla porta con le carezze: non resistiamo alla pace
Nei momenti in cui si soffre, non si sente la consolazione ma un cristiano non può perdere la pace “perché è un dono del Signore” che la offre a tutti, anche nei momenti più brutti. L’invito del Papa è, quindi, quello di chiedere al Signore in questa settimana di preparazione al Natale di non aver paura e lasciarci consolare da Lui, facendo riferimento anche al Vangelo di oggi (Mt 18,12-14):
Che anche io mi prepari al Natale almeno con la pace: la pace del cuore, la pace della Tua presenza, la pace che danno le Tue carezze”. “Ma sono tanto peccatore …” – sì, ma cosa ci dice il Vangelo di oggi? Che il Signore che consola come il pastore, se perde uno dei suoi va a cercarlo, come quell’uomo che ha cento pecore e una di loro si è smarrita: va a cercarla. Così fa il Signore con ognuno di noi. Io non voglio la pace, io resisto alla pace, io resisto alla consolazione … ma Lui è alla porta. Lui bussa perché noi apriamo il cuore per lasciarci consolare e per lasciarci mettere in pace. E lo fa con soavità: bussa con le carezze.
Francesco parla della consolazione e fa riferimento ai martiri di oggi, come i copti uccisi sulla spiaggia della Libia. La consolazione, infatti, deve essere lo stato abituale del cristiano
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