Alla fine saremo giudicati sull'amore
Nel Vangelo di questa domenica Matteo riporta il discorso di Gesù sul giudizio universale, alla fine della sua vita terrena. E il Papa sottolinea “il paradosso cristiano”: Colui che è “il Signore della storia”, “il Re dell’universo”, “il Giudice di tutti”, “non riveste una regalità temibile, ma è un pastore pieno di mitezza e di misericordia”. Nella pagina evangelica di domenica, Gesù si identifica non solo col re-pastore, ma anche con le pecore perdute. “Potremmo parlare come di una doppia identità: il re pastore, e anche Gesù e le pecore: cioè con i fratelli più piccoli e bisognosi si identifica”, afferma il Papa.
E indica così il criterio del giudizio: esso sarà preso in base all’amore concreto dato o negato a queste persone, perché Lui stesso, il giudice, è presente in ciascuna di esse. Lui è giudice. Lui è Dio, uomo, ma Lui è anche il povero, Lui è nascosto, è presente nella persona dei poveri che Lui menziona proprio lì. Dice Gesù: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto (o non avete fatto) a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete (o non l’avete) fatto a me». Saremo giudicati sull’amore. Il giudizio sarà sull’amore. Non sul sentimento, no: saremo giudicati sulle opere, sulla compassione che si fa vicinanza e aiuto premuroso.
IL TESTO DELLA PREGHIERA ALL'ANGELUS
Non prevalga la logica dell'indifferenza
La domanda centrale che il Papa chiede, dunque, di porsi oggi è: “Io mi avvicino a Gesù presente nella persona dei malati, dei poveri, dei sofferenti, dei carcerati, di coloro che hanno fame e sete di giustizia, mi avvicino a Gesù presente lì?” Alla fine del mondo, infatti, il Signore passerà in rassegna il suo gregge, “non solo dalla parte del pastore, ma anche dalla parte delle pecore, con le quali Lui si è identificato”, rimarca il Papa:
“Sei stato pastore di me che ero presente in questa gente che era nel bisogno, o sei stato indifferente?” Fratelli e sorelle, guardiamoci dalla logica dell’indifferenza, di quello che ci viene in mente subito. Guardare da un’altra parte quando vediamo un problema.
Dio stesso si prende cura del gregge
Il Papa esorta, quindi, a seguire un’altra logica, ispirandosi al Buon Samaritano. Una logica che indica Gesù stesso: “Quello che avete fatto a questo, a questo, a questo, lo avete fatto a me. E quello che non avete fatto a questo, a questo, a questo, non lo avete fatto a me, perché io ero lì”. Che Gesù ci insegni questa logica, questa logica della prossimità, dell’avvicinarsi a Lui, con amore, nella persona dei più sofferenti.
Gesù, in questa parabola del giudizio finale, dunque, si serve dell’immagine del pastore, richiamandosi al profeta Ezechiele, il quale aveva parlato dell’intervento di Dio in favore del popolo, contro i cattivi pastori d’Israele, quelli che “erano stati crudeli e sfruttatori, preferendo pascere sé stessi piuttosto che il gregge”. Quindi “Dio stesso promette di prendersi cura personalmente del suo gregge, difendendolo dalle ingiustizie e dai soprusi”, spiega il Papa, rimarcando che questa promessa si è realizzata pienamente in Gesù Cristo, Buon Pastore.
Regnare nel servire
E’ a Maria, che ha seguito suo Figlio fedelmente sulla via dell’amore, che bisogna chiedere di “insegnarci a regnare nel servire” imparando proprio da lei a “entrare fin da ora nel Regno di Dio, attraverso la porta del servizio umile e generoso”.
Il Papa ricorda le ferite del terremoto in Irpinia
A 40 anni dal “disastroso terremoto” dell’Irpinia, che “seminò morte e distruzione” il Papa, nei saluti del dopo Angelus, ha rivolto il suo pensiero alle popolazioni della Campania e della Basilicata: "Quell’evento drammatico, le cui ferite anche materiali non sono ancora del tutto rimarginate, ha evidenziato generosità e solidarietà degli italiani. Ne sono testimonianza i gemellaggi tra i paesi terremotati e quelli del nord e del centro i cui legami ancora sussistono. Queste iniziative hanno favorito il faticoso cammino della ricostruzione e soprattutto la fraternità tra le diverse comunità della penisola".
Il terremoto della domenica 23 novembre del 1980, di magnitudo X della Scala Mercalli, colpì un’area di oltre 17 mila chilometri dell’Italia meridionale, toccando soprattutto le province di Avellino, Salerno e Potenza e radendo al suolo alcuni paesi, con il drammatico bilancio di circa 3 mila morti, più di 8 mila feriti e 280 mila sfollati.
Francesco, successivamente, ha salutato i romani e i pellegrini che “malgrado le difficoltà attuali e sempre nel rispetto delle regole” sono giunti in Piazza San Pietro per la recita dell’Angelus. Un pensiero speciale è andato alle famiglie che, in questo tempo, vivono momenti difficili: "Su questo pensate a tante famiglie che sono in difficoltà in questo momento, perché non hanno il lavoro, hanno perso il lavoro, hanno uno, due figli, e delle volte, con un po’ di vergogna, non fanno sapere questo. Ma siate voi ad andare a cercare dove c’è necessità. Dove è Gesù, dove è Gesù nel bisogno. Fate questo".