(Osservatore Romano)
La consolazione è dono di Dio e servizio agli altri: nessuno può consolare se stesso autonomamente perché altrimenti finisce per guardarsi allo specchio. È il messaggio che il Papa ha rivolto nell'omelia della Messa mattutina a Casa Santa Marta. Lo riferisce Radio Vaticana.
Per fare esperienza della consolazione serve quindi un cuore aperto, il cuore dei poveri di spirito, e non il cuore chiuso degli ingiusti. L’esperienza della consolazione è al centro dell’omelia di Papa Francesco che parte dalla Prima Lettura odierna nella quale per otto volte in 19 righe si parla proprio di consolazione. Per il Papa è quindi un’occasione per riflettere su cosa sia la consolazione a cui fa riferimento San Paolo.
La consolazione non è autonomia
La sua prima caratteristica è di non essere “autonoma”: “L’esperienza della consolazione, che è un’esperienza spirituale, ha bisogno sempre di un’alterità per essere piena: nessuno può consolare se stesso, nessuno. E chi cerca di farlo, finisce guardandosi allo specchio, si guarda allo specchio, cerca di truccare se stesso, di apparire. Si consola con queste cose chiuse che non lo lasciano crescere e l’aria che respira è quell’aria narcisista dell’autoreferenzialità. Questa è la consolazione truccata che non lascia crescere. E questa non è consolazione, perché è chiusa, le manca un’alterità”.
Nel Vangelo si trova tanta gente così, afferma il Papa nell’omelia a Casa Santa Marta. Ad esempio, i dottori della Legge , “pieni della propria sufficienza”, il ricco Epulone che viveva di festa in festa pensando di essere così consolato, ma soprattutto ad esprimere meglio questo atteggiamento è la preghiera del fariseo davanti all’altare, che dice: “Ti ringrazio perché non sono come gli altri”. “Questo si guardava allo specchio”, nota il Papa, “guardava la propria anima truccata da ideologie e ringraziava il Signore”. Gesù quindi fa vedere questa possibilità di essere gente che con questo modo di vivere “mai arriverà alla pienezza, al massimo alla ‘gonfiezza’”, cioè alla vanagloria.
La consolazione è dono e servizio
“La vera consolazione ha questa doppia alterità: è dono e servizio. E così se io lascio entrare la consolazione del Signore come dono è perché ho bisogno di essere consolato. Sono bisognoso: per essere consolato è necessario riconoscere di essere bisognoso. Soltanto così il Signore viene, ci consola e ci dà la missione di consolare gli altri. E non è facile avere il cuore aperto per ricevere il dono e fare il servizio, le due alterità che fanno possibile la consolazione”.
L'insegnamento delle Beatitudini
Invece sono “chiusi” quelli che si sentono “ricchi di spirito", cioè “sufficienti”, “quelli che non hanno bisogno di piangere perché si sentono giusti”, i violenti che non sanno cosa sia la mitezza, gli ingiusti che compiono ingiustizia, coloro che sono senza misericordia, che non hanno mai bisogno di perdonare perché non sentono il bisogno di essere perdonati, “quelli sporchi di cuore”, gli “operatori di guerre” e non di pace, e coloro che non vengono mai criticati o perseguitati perché non gli importa delle ingiustizie verso le altre persone. “Questi – dice il Papa – hanno un cuore chiuso”: non sono felici perché non può entrare il dono della consolazione per poi darlo agli altri.
Aprire la porta del cuore
In conclusione, Papa Francesco invita a domandarsi come sia il nostro cuore, se sia aperto e capace di chiedere il dono della consolazione per poi darla agli altri come un dono del Signore. Bisogna tornare durante la giornata su questi pensieri e ringraziare il Signore che “sempre cerca di consolarci”. “Soltanto – conclude – ci chiede che la porta del cuore sia aperta almeno “un pochettino” : “così, Lui poi si arrangia per entrare”.