venerdì 1 aprile 2022
La drammatica storia delle “scuole residenziali” istituite nel passato per cancellare la cultura, l’identità, la spiritualità e la lingua dei popoli indigeni. E Francesco non esclude una visita
Papa Francesco ha incontrato i popoli indigeni del Canada

Papa Francesco ha incontrato i popoli indigeni del Canada - Vatican News

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E’ il giorno atteso dell’incontro finale tra il Santo Padre e le delegazioni dei popoli indigeni del Canada. Ci sono gli “anziani”, “i custodi della conoscenza”, i “sopravvissuti” e i giovani canadesi, insieme ai rappresentanti dei vescovi cattolici canadesi. 32 delegati in rappresentanza dei First Nations, Métis e Inuit. Arrivati a Roma il 28 marzo, sono stati privatamente ricevuti nei giorni scorsi dal Santo Padre. In questi incontri i delegati hanno potuto dire al Papa le loro attese e le loro richieste e alcuni dei sopravvissuti alle “scuole residenziali” hanno potuto raccontare le loro storie.

Oggi, l’udienza finale con tutti si è svolta nella Sala Clementina, con 17 delegati dei Métis; 15 degli Inuit e 30 delle First Nations, accompagnati da 6 delegati della Conferenza episcopale canadese guidati dal presidente dei vescovi monsignor Raymond Poisson. Nei giorni scorsi, i delegati hanno donato al Papa un paio di mocassini come segno del desiderio di camminare insieme nel lungo percorso di “guarigione, riconciliazione e verità”.

Al centro dei colloqui privati la drammatica storia delle “scuole residenziali” istituite nel passato per cancellare la cultura, l’identità, la spiritualità e la lingua dei popoli indigeni. Circa 150 mila bambini delle Prime Nazioni, Métis e Inuit furono strappati alle loro famiglie e obbligati a frequentare una di queste 139 scuole distribuite in tutto il Paese. Si stima che almeno 4 mila di questi bambini e adolescenti trovarono la morte a causa di malattie, fame, freddo ma anche a seguito di abusi subiti. Questa pagina della storia canadese è emersa in tutta la sua tragedia lo scorso anno quando, a più riprese e in punti diversi, attorno a queste scuole, sono state rinvenute delle tombe, anonime purtroppo, con i resti dei corpi di questi bambini. Ieri, Chief Rosanne Casimir, una delle rappresentanti delle First Nations, ricevuti in udienza privata, ha chiesto a Papa Francesco l’accesso ai registri e ai documenti in possesso della Chiesa cattolica per poter risalire all’identità dei bimbi scomparsi.

E questa mattina la Sala Clementina si è riempita del suono dei tamburi, della musica del violino, dei canti e delle danze tipiche di loro popoli. Ciascuna delle tre delegazioni ha offerto a papa Francesco un’espressione culturale e cerimoniale; David Serkoak, batterista inuit, ha eseguito una esibizione del tamburo inuit usata per celebrare occasioni particolari come la prima caccia di un ragazzo o la nascita di un bambino. Alexander John Lamoureux e Brianna Marie Lizotte dei Métis hanno invece eseguito une esecuzione in violino, strumento particolarmente amato dai Métis che iniziarono a suonare adattando alla loro cultura ancestrale le melodie scozzesi, irlandesi e francesi. Infine le Prime Nazioni hanno eseguito una danza tradizionale. L’udienza si è conclusa con uno scambio di doni. Papa Francesco ha donato ad ogni singola delegazione un ramo di olivo in bronzo, in “segno di pace e di riconciliazione”.

L'udienza è stata aperta da un momento di preghiera offerto da ciascuna comunità nella rispettiva lingua madre. Elder Fred Kelly, anziano delle First Nations, ha rivolto una preghiera affinché tutti i bimbi strappati alle loro famiglie e scomparsi anonimamente nelle tombe, “possano tornare dalle persone che li hanno amati e i loro genitori e parenti ritrovare pace e conforto”. Ha poi preso la parola Elder Emile Janvier della Métis Nation, anche lui uno dei sopravvissuti alle scuole residenziali. “Preghiamo per coloro nelle nostre comunità che lottano a causa dei danni subiti. Perché trovino forza in questo cammino di riconciliazione”. La delegazione Inuit ha infine intonato la preghiera del “Padre nostro”, in lingua Inuktitu.

Poi è stata la volta di monsignor Poisson: “Santo Padre, la nostra storia recente è segnata dall’infamia degli errori e dei fallimenti nell’amare il prossimo, in particolare verso i membri di quelle nazioni che da secoli erano presenti in Canada. Il nostro desiderio di riconciliazione è grande e la nostra presenza qui è una testimonianza del nostro impegno. Siamo venuti da lei, Santo Padre, popolo d’America – di First Nations, Métis e Inuit, come pure discendenti europei e tanti altri – per imparare da lei ciò che è più gradito a Dio in modo da metterlo in atto nel nostro cammino insieme di riconciliazione. Santo Padre, la sua calorosa accoglienza come pastore della Chiesa universale, è particolarmente importante per tutti i canadesi in questo cammino di riconciliazione. Le sue parole, cariche di appelli alla misericordia e richiami alla tenerezza di Dio, ci incoraggiano nella nostra opera di riconciliazione”.

Mons. Poisson ricorda che papa Francesco si è detto disponibile ad accogliere l’invito dell’episcopato del Paese nordamericano, a visitare il Canada.

Infine il momento tanto atteso, con le parole del Papa: "Chiedo perdono a Dio" per quello che i cattolici hanno fatto alle popolazioni native americane e ai loro figli nelle scuole residenziali canadesi. Il Pontefice ha espresso "indignazione e vergogna" e anche "dolore per il ruolo che diversi cattolici hanno svolto in tutto quello che vi ha ferito".

IL DISCORSO DEL PAPA

Bergoglio ha puntato l'indice contro la persistente idea di "una colonizzazione ideologica" che, attraverso "programmi studiati a tavolino" agisce spinta da "avidità e voglia di profitto". "Una mentalità molto coloniale molto diffusa anche oggi", ha aggiunto. Quello che è avvenuto nelle scuole residenziali, dove venivano trasferiti con la forza i figli dei nativi per ricevere trattamenti talvolta inumani e sempre per essere privati della loro identità culturale, è "agghiacciante".

È agghiacciante vedere come si è cercato di "istillare un senso di inferiorità" in quei ragazzi, spesso provocando "traumi irrisolti divenuti traumi intergenerazionali".

"Mi unisco ai vescovi canadesi nel chiedervi scusa", ha proseguito il Papa, "l'umiliazione della Chiesa è fecondità e nell'umiltà si vede lo spirito del Signore". Motivi, questi ultimi, per cui ha avuto anche parole di ringraziamento ai vescovi canadesi "per il coraggio nell'umiltà" che hanno dimostrato nell'affrontare la questione, esplosa quando sono stati rinvenuti i resti di decine e decine di ragazzi sepolti in modo anonimo a pochi metri dagli istituti dove di fatto erano stati rinchiusi.

Il Papa è sembrato anche preannunciare la visita in Canada per la fine di luglio: quando ha ricordato che la devozione popolare dei nativi è particolarmente rivolta a Sant'Anna, che si festeggia il 26 di quel mese. "Vorrei essere con voi in quei giorni", ha detto ricordando che la riconciliazione "richiede azioni concrete in spirito di fraternità e ricerca trasparente della verità".

Si arrivi così alla "rivitalizzazione della vostra cultura", ha detto ancora, "vorrei dirvi che la Chiesa è dalla vostra parte, che cammina con voi". Per questo Bergoglio invoca "su di voi la benedizione del Creatore", perché "la vostra lingua, la vostra cultura e le vostre tradizioni appartengono a tutta l'umanità". Questo anche se "il vostro albero ha subito una tragedia, uno sdradicamento: è stato spezzato da una colonizzazione il cui scopo era uniformarvi ad un'altra identità". Di conseguenza "molte famiglie sono state separate, molti ragazzi sono stati vittime di una azione colonizzatrice". E per questo, provando indignazione, dolore e vergogna, Papa Francesco chiede perdono a Dio e scusa alle vittime.

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