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«La pace non è mai guadagnata una volta per tutte, va conquistata ogni giorno, così come la convivenza tra etnie e tradizioni religiose diverse, lo sviluppo integrale, la giustizia sociale». A Nur-Alem, il grande piazzale dell’Expo Grounds della capitale kazaka, sullo sfondo di una struttura avveniristica a forma di palla in vetro e acciaio, simbolo del progresso del paese, papa Francesco ha celebrato la messa per la piccola comunità dei cattolici che conta circa 125 mila fedeli in tutto il Kazakistan. In seimila in silenzio e composti hanno visto arrivare il papa che ha fatto un largo giro in papabile tra i fedeli.
Tra di loro anche pellegrini da San Pietroburgo, da Mosca, da Novosibirsk, da Omsk, dal Kirghizistan e i discendenti di quanti in passato erano finiti prigionieri nei gulag sovietici. Nel corso dell’omelia, citando san Giovanni Paolo II, il Papa ha augurato che il Kazakistan cresca ancora di più «nella fraternità, nel dialogo e nella comprensione per gettare ponti di solidale cooperazione con gli altri popoli, nazioni e culture». Dei 19 milioni di abitanti, il settanta per cento sono di fede musulmana, mentre ventisei per cento è costituito da cristiani, in netta prevalenza ortodossi. I cattolici sono oggi distribuiti in quattro diocesi, sei vescovi e un centinaio di sacerdoti. Un tempo le comunità cattoliche erano formate da diversi gruppi etnici, soprattutto da ex-deportati del regime sovietico, ma dopo l’indipendenza molti di loro sono tornati nei rispettivi Paesi di origine e ancora oggi, a causa della situazione economica, questo fenomeno migratorio continua.
Il Papa ha spiegato che essere cristiani significa «vivere senza veleni». Significa «non morderci tra di noi, non mormorare, non accusare, non chiacchierare, non spargere opere di male, non inquinare il mondo con il peccato e con la sfiducia che viene dal Maligno. Fratelli, sorelle, siamo rinati dal costato aperto di Gesù sulla croce: non ci sia in noi alcun veleno di morte – ha detto nel corso dell’omelia – Preghiamo, invece, perché per grazia di Dio possiamo diventare sempre più cristiani: testimoni gioiosi di vita nuova, di amore, di pace».
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A fine della celebrazione eucaristica nel giorno dedicato alla Santa Croce, festività condivisa e celebrata fin dal III secolo, in lingua russa sono state rivolte al Papa parole di ringraziamento. «Le chiediamo di benedire il nostro Paese e l’Asia centrale – Ci benedica, perché noi tutti siamo messaggeri di pace e di unità» ha detto monsignor Tomash Bernard Peta, arcivescovo Metropolita dell’Arcidiocesi di Maria Santissima in Astana.
Papa Francesco ha concluso la celebrazione con un appello a braccio per la fine della guerra: «Ho appreso con preoccupazione che in queste ore si sono accesi nuovi focolai di tensione nella regione caucasica. Continuiamo a pregare perché anche in questi territori sulle contese prevalgano il confronto pacifico e la concordia». «Penso a tanti luoghi martoriati dalla guerra – ha aggiunto – soprattutto alla cara Ucraina.
Non abituiamoci alla guerra, non rassegniamoci alla sua ineluttabilità. Soccorriamo chi soffre e insistiamo perché si provi davvero a raggiungere la pace. Che cosa deve accadere ancora, quanti morti bisognerà attendere prima che le contrapposizioni cedano il passo al dialogo per il bene della gente, dei popoli e dell'umanità? L'unica via di uscita è la pace e la sola strada per arrivarci è il dialogo».«quanti morti prima che la guerra ceda il passo al dialogo?». «Continuiamo a pregare perché il mondo impari a costruire la pace, anche limitando la corsa agli armamenti e convertendo le ingenti spese belliche in sostegni concreti alle popolazioni» ha detto infine ringraziando «tutti coloro che credono in questo e a quanti sono messaggeri di pace e di unità».