Da una ricerca condotta da Caritas e Acli presentata ieri emerge la tenuta e la robustezza del volontariato nel nostro Paese: quattro milioni e 400 mila volontari in Italia, il che, togliendo i bambini e gli ottantenni, vuol dire approssimativamente che una persona su dieci dà un po’ del suo tempo, gratis, a spesso sconosciuti altri. Nello stesso convegno si è ricordato che la colletta per i terremotati di Abruzzo indetta dalla Cei ha devoluto alla Caritas 27 milioni di euro: cifra tanto più considerevole se si pensa per quale anno di crisi il Paese è passato.Notizie, verrebbe da dire, da un’Italia silenziosa, scarsamente visibile, non rilevata dai riflettori dei media, e che pure c’è. Oggi come domani i titoli più evidenti saranno per la rissa di palazzo, o per l’ultimo scandalo. Eppure sotto a questo rumore un altro Paese vive, lavora, fa del bene. Milioni di italiani, anche in un anno magro, hanno voluto dare il loro aiuto per la gente dell’Abruzzo. Milioni di persone dedicano qualche ora al mese a chi ne ha bisogno. I titoli dei giornali gridano, a volte assordano. L’esercito di pace che assiste malati o carcerati, o affida alla Chiesa la sua offerta per i senzatetto abruzzesi, procede invisibile, e non fa rumore – come non lo fa un bosco che cresce. Non tutta questa Italia, certo, è riconducibile al mondo cattolico, che pure ne forma una consistente parte. Ma anche la carità "laica", in un Paese come il nostro, affonda le sue radici in un humus da secoli impregnato di carità cristiana – quasi
naturaliter cristiano. Non era degli antichi pagani, la pietà per i figli nati storpi; e ancora oggi in certe culture tribali i folli e certi malati vivono da paria, poveri "demoni" non degni di misericordia. Quello sguardo diverso, che dà da mangiare ai poveri e va a trovare in galera gli assassini, da noi è eredità, magari anche inconsapevole; è un respiro tramandato. Fin da quando Tertulliano, nel secondo secolo, scriveva di come la sollecitudine dei cristiani per i miserabili lasciava stupefatti i pagani. Fin da quando i moribondi, un tempo abbandonati nelle strade, venivano accolti nel Medioevo nei primi ospedali cristiani.E in questa Italia oggi così diversa, spesso dimentica delle sue radici, e così travagliata da scontri di potere, accuse e divisioni profonde, tuttavia permane e opera come una macchina possente la carità di tanti. Inosservata, generosa, indifferente al rumore, ai veleni, alla crisi, anche all’età. La ricerca della Caritas rileva come sia considerevole il numero dei pensionati che vanno a fare volontariato: come avendo capito che a nessuna età si vive per sé soli.C’è stato chi, nell’auge del marxismo, teorizzava che in una società davvero giusta di carità non ci sarebbe più stato bisogno, quando lo Stato avesse assolto equamente ogni suo compito e dovere. Quel mondo perfettamente "giusto", non lo si è visto mai, è utopia, idea che non trova modo di incarnarsi su questa Terra. Ma, ha scritto Benedetto XVI nella
Deus caritas est, anche nella società più giusta l’amore sarà sempre necessario: «Non c’è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell’amore».Quell’amore che riconosce nell’altro, sconosciuto e ultimo, uno che ti assomiglia, come parte di te, generato dalla tua stessa radice – figlio dello stesso padre. In questa logica, consapevoli o magari no, milioni di uomini e donne in questo Paese ancora vivono. Senza vantarsene e senza stupirsene. In quel respiro ereditato, quotidiana abitudine al dare. Che ricchezza. Sotto alle granate degli scandali e delle risse che fanno notizia, ricchezza quasi invisibile agli occhi; caratteristica, come diceva Saint- Exupery, che è propria delle cose essenziali.