Fascisti, comunisti, neri, rossi, le botte e le coltellate per la strada, una svastica tracciata sulla memoria viva di martiri della democrazia insieme all’insulto verso chi difende la sicurezza di tutti, un tentativo di blitz negli studi televisivi di un talk show politico. Ed è solo un elenco incompleto. L’elenco di ieri. No, no. Fermatevi, subito. Prima che sia davvero troppo tardi. Anche se quanto si è visto finora è già troppo.
Qualche giorno fa parlavamo del clima di odio che attanaglia il Paese, aggravato da una campagna elettorale acida, cattiva e troppo spesso priva di contenuti propositivi, se si eccettuano certe sparate alle quali non sembrano credere nemmeno i rispettivi autori. Ebbene, siamo stati purtroppo profeti facili facili: l’aria che si respira è fetida, si avverte distintamente l’odore del sangue e del fango. Quando vedi un carabiniere in terra circondato e preso a calci, quando sui social trovi fotomontaggi e affermazioni che solo menti deliranti sono in grado di partorire, quando nella loro relazione annuale i Servizi di sicurezza sottolineano il pericolo del riemergere dell’eversione interna, quando Amnesty International certifica che in Italia «un leader politico su tre fa ricorso a discorsi offensivi, razzisti e di odio», quando un tizio con una runa tatuata sulla faccia e il Mein Kampf sul comodino sale in macchina e comincia a sparare ai neri (di pelle) come se Macerata fosse il Mississippi dei tempi peggiori, capisci che le cose si stanno mettendo male.
Avevamo messo in guardia dagli ignari, dagli smemorati o da quelli in malafede (magari ormai con i capelli bianchi) che non si curano, o fingono di non curarsi, di quanto è costato in vite umane a questo nostro tormentato Paese il periodo lungo, buio della violenza politica, del terrorismo, dei ragazzi lasciati in terra a colpi di pistola o mitraglietta, di spranga, di manici di piccone, bruciati nel cuore della notte mentre dormivano nei loro letti, giustiziati davanti alla propria madre, scaraventati giù da un muretto. Paolo, Walter, Francesco, Valerio... neri, rossi... da morti non si ha più colore. Resta il dolore senza fine dei genitori. Rimane la rabbia dei «compagni», dei «camerati», che può sfociare in nuova violenza, in altro sangue. Questo rimane, niente altro.
Eppure quella tragica lezione non sembra essere stata imparata. Il «camerata» aggredito ieri a Palermo ha detto di essere «un soldato politico» e di non voler «elemosinare» solidarietà da nessuno, il suo movimento ha annunciato che «nulla resterà impunito».
Mentre al pestaggio è seguita una sorta di rivendicazione, in forma anonima, dai toni minacciosi. A Perugia, dopo l’accoltellamento di un «compagno» di Potere al popolo, è andato in scena un analogo batti e ribatti al sapore, neanche troppo vago, di anni 70. E l’aria si fa ancora più pesante. Fermatevi. Non cascateci di nuovo. Sarebbe una pazzia senza senso (come lo fu allora) e per di più, oggi, completamente fuori dalla storia.
P.S.: Mentre scriviamo, in via Mario Fani a Roma è stata cancellata la scritta oltraggiosa («A morte le guardie») e la svastica che una mano vigliacca aveva lasciato sulla lapide in memoria della scorta di Aldo Moro, sterminata in quel luogo dalle Brigate Rosse il 16 marzo 1978, durante il rapimento dello statista democristiano. Onore autentico e profonda gratitudine a loro, in mezzo a tanto onore autoproclamato e dubbio.