venerdì 10 ottobre 2014
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Sottraendosi ai facili e comodi schemetti manichei, e in barba a quanti avevano pronosticato duelli a fior di stilettate, il «corpo sinodale» – è proprio il caso di dire – si sta muovendo senza steccati in tutt’altra direzione. E non c’è che da prenderne atto. Discutendo con serenità in aula i punti caldi del Sinodo, l’arcivescovo di Dublino, Diarmuid Martin, si è fatto interprete di una larga parte di padri sinodali e ha affermato: «Non si è fatto un Sinodo per ripetere le stesse cose, per ribadire le verità della dottrina che già sappiamo, ma per cercare una possibile soluzione e rispondere in modo nuovo alle attese del popolo di Dio». Un altro padre sinodale aveva sottolineato qualche giorno fa un’analogia tra «l’impegno che il Sinodo deve garantire sulla pastorale familiare» e il tema della libertà religiosa al Concilio Vaticano II, per evidenziare come in quell’assise si riuscì infine a coniugare verità e libertà. «Prima del Concilio infatti si diceva: "Bisogna difendere la verità! Piace o non piace, questo è". Ma nel Concilio si è detto: "Certo, c’è la verità ma c’è anche la libertà religiosa, e chi crede nella sua religione è libero di farlo". Per qualcuno questo era impossibile. Il Concilio però ha trovato una nuova strada». «In questo modo anche il Sinodo potrà trovare un nuovo approccio sulla famiglia, anche se nessuno mette in discussione l’indissolubilità del matrimonio e l’ideale di coniugi fedeli», ha fatto osservare il teologo argentino Victor Manuel Fernandez, vice-presidente della commissione che scriverà il messaggio finale del Sinodo, riportando proprio quell’analogia. È un’osservazione importante non solo perché emerge come risultato di un dibattito reale, di effettivo confronto non antagonistico tra i padri sinodali, ma anche perché ci dice molto dello stato attuale della loro discussione in questa prima fase di sviluppo. L’arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della Nuova evangelizzazione, anche lui partecipante all’assemblea sinodale, in un’intervista significativamente fa notare: «Mi domando perché delle persone divorziate risposate che frequentano la comunità non debbano avere l’opportunità di insegnare in una scuola cattolica o in una università le normali scienze e materie. Perché a un divorziato risposato non deve essere permesso di cantare in chiesa? Queste forme di esclusione urtano e non fanno poi capire quando la Chiesa dice che vuole accogliere». «Come può dare quindi il segno dell’accoglienza una Chiesa, che è chiamata a camminare accompagnando gli uomini e le donne di oggi, senza escludere nessuno, rimanendo nell’insegnamento di Gesù?». Questo è il punto su cui si sta ragionando. «Tutti abbiamo chiara consapevolezza dei principi fondamentali, ma dobbiamo essere capaci di trovare dei linguaggi, delle forme, delle espressioni e dei comportamenti che siano più possibile segno di vicinanza della Chiesa e non di esclusione. E questo è il criterio fondamentale non per cambiare, ma per creare il progresso, per non alterare, ma per evidenziare lo sviluppo della dottrina», ha spiegato il prelato, citando ad hoc un principio di san Vincenzo di Lerins il quale afferma che il progresso non significa alterazione dei contenuti della fede; principio questo che peraltro è uno dei must di Bergoglio. «Dobbiamo adottare l’ermeneutica del Papa», ha detto giusto ieri da parte sua il cardinale canonista Francesco Coccopalmerio: «Fatta salva la dottrina, bisogna considerare le singole persone, dando risposte concrete e andando incontro ai singoli casi che presentano urgenze e gravità. Non potrà mai esserci un norma generale, ma in certi casi si deve esaminare». E per il canonista anche il solo fatto di pensare e interrogarsi su questo punto è già un grande risultato del Sinodo. In sostanza, dunque, fin dall’inizio del dibattito sono emerse, sì, due linee di pensiero, ma in questo cammino – che procede nella mutua conoscenza e nella partecipazione attiva – si sta sempre più facendo strada anche una direzione che intende dare veramente risposte nuove e concrete in merito alle situazioni difficili delle realtà familiari. Compresa la questione della comunione ai divorziati risposati su cui si è tornati a discutere anche ieri sera. Il cardinale Marx, interprete della Conferenza episcopale tedesca, ha ribadito che è giusto che la Chiesa vada incontro in casi determinati e ha usato un’immagine plastica a effetto: «Né tutti, né nessuno».È vero, quindi, come affermato da padre Lombardi, che non si possono fare i conti nel Sinodo, ma è verosimile che la stragrande maggioranza dei padri ritenga che si debba aggiornare il linguaggio della Chiesa e rinnovare l’atteggiamento di comprensione e di coinvolgimento nelle ferite delle famiglie. La via aperta da percorrere nel tempo appare ora in tutta chiarezza. E senza marce indietro.
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