venerdì 19 giugno 2009
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Secondo i partecipanti al tavolo promosso ieri mattina da Palazzo Chigi sul caso Fiat, congedando i suoi ospiti il presidente del consiglio avrebbe assicurato che «la stabilità del governo non è in discussione». E che dunque non è il caso di «dare retta ai 'rumors' che girano su Tremonti e Draghi», quali possibili alternative al premier in carica. È ben possibile che le cose stiano come dice Silvio Berlusconi. Ma è comunque significativo, e in qualche modo inquietante, che il capo del governo debba chiudere una riunione di lavoro, su questioni di grande delicatezza e con interlocutori non certo indifferenti a quanto accade nel Palazzo, preoccupandosi di sgombrare il campo da indiscrezioni che riguardano la sua personale tenuta. Un fatto tanto più significativo, perché il fiume di notizie o pseudo tali, di pettegolezzi e di rivelazioni reali o asserite, di annunci di nuove inchieste che investono o soltanto sfiorano il vertice dell’esecutivo, non sembra volersi arrestare. Il caso di Bari e delle indagini che dal capoluogo pugliese condurrebbero nei pressi di Palazzo Grazioli, con l’immancabile contorno di gossip su feste private e accompagnamenti equivoci, è soltanto l’ennesimo ad abbattersi su un’opinione pubblica sempre più frastornata. E dopo quelli riguardanti veline e giovani protette, legali inglesi e voli di Stato, quest’ultimo non promette di restare tra i più indolori. I sostenitori dell’inattaccabilità del premier continuano a garantire che l’ondata di fango finirà bene o male per arrestarsi all’indomani dei ballottaggi. Così come giurano che tutto quanto è emerso finora era funzionale a indebolire l’immagine di una leadership costantemente confermata dal suffragio popolare: 'missione fallita' constatano, forse con eccessivo trionfalismo, alla luce dei responsi elettorali. Non mancano tuttavia, nello stesso centrodestra, voci più consapevoli, che ad esempio scontano il proseguimento della campagna almeno fino al G8 dell’Aquila in programma tra venti giorni, ma probabilmente anche oltre. Sono considerazioni che stentano a venire in superficie e che tuttavia è possibile registrare in privato, insieme all’ammissione sui rischi di sfilacciamento progressivo del quadro politico e istituzionale. Di qui la percezione di un disagio sempre meno sopportabile in chi, dall’esterno, assiste a una battaglia durissima in uno scenario ai più incomprensibile, reso ancora più torbido dai sorprendenti preannunci dalemiani di movimenti tellurici poi puntualmente registrati. Ma proprio per questo clima di smarrimento crescente, è lecito domandarsi se il presidente del Consiglio abbia finora scelto la linea di resistenza migliore e i difensori più appropriati al suo caso. Non è soltanto questione di stile sfoggiato (anche se lo stile in certe situazioni è purissima sostanza) da parte di avvocati bravi, a quanto pare, soprattutto a moltiplicare i motivi di imbarazzo. Il punto centrale, ci sembra, è la necessità di arrivare il più presto possibile a un chiarimento sufficiente a sgomberare il terreno dagli interrogativi più pressanti, che non vengono solo dagli avversari politici ma anche da una parte di opinione pubblica non pregiudizialmente avversa al premier. E se anche non fosse possibile eliminare ogni ombra, perché ad esempio su alcune questioni il bandolo della matassa è in mano alla magistratura, si pongano almeno i presupposti per evitare ulteriori stillicidi di chiacchiere e di tempeste mediatiche. Senza illudersi che l’efficienza dell’azione di governo possa far premio, sempre e comunque, sui comportamenti privati. Alla lunga, tutto finisce per avere un prezzo. E il pericolo, soprattutto in questo caso, è che a pagarlo non sia soltanto il singolo debitore di turno, ma l’intero Paese.
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