La foto del papà di Vasco Rossi postata su Instagram dal rocker - Ansa
“La storia siamo noi, nessuno si senta escluso”, canta anche stasera, qui a Milano, Francesco De Gregori. La storia dunque prevede che anche il meno politicizzato dei cantautori, Vasco Rossi, una mattina si svegli e facendo i conti con la sua vita e con il suo passato famigliare possa esprimere un pensiero, anche politico. Perciò, vorrei provare a dare un senso alle parole di Vasco alla luce di uno scenario come quello dell’intronata routine del cantar leggero che sta vivendo il momento più buio, se non di sempre almeno dall’inizio del nuovo millennio.
I fatti. Il 31 ottobre, giorno dell’anniversario della morte del padre di Vasco, papà Carlino Rossi, morto nel 1979 “piegato dalla fatica”, il cantautore, anzi il rocker di Zocca, ha postato sui social un ricordo tenero, ricordando quel sorriso sempre a metà del genitore. L’altra metà gli era stata sottratta nei “due anni di lager Nazista a Dortmund che avevi dovuto scontare per non esserti voluto piegare alla barbarie del nazifascismo”, scrive Vasco, che poi con un occhio lacrimoso rivolto al cielo e l’altro a questa terra, lancia l’allarme: “Non ci crederai… ma sono tornati… lupi travestiti da agnelli…bulli.. arroganti e le facce ghignanti. Con i loro deliri... i loro dileggi... la loro propaganda… e la stessa ignoranza!”. Questa presa di posizione ha scatenato ovviamente le due fazioni nazionali: la sinistra che applaude al “partigiano Rossi” e la destra che lo manganella di insulti per aver osato sfidare il potere precostituito. Poi ci sono i finti neutri che dicono che un artista, un grande artista come Vasco non dovrebbe cadere anche lui nella propaganda spicciola.
Noi pensiamo che Vasco abbia esercitato il sacrosanto diritto d’opinione. Certo è lo stesso Vasco che negli anni ’80 guidava la combriccola del Blasco, quella dei siamo solo noi con i fegati spappolati e che invitava a bere la coca-cola che ti fa bene, e non si riferiva certo alla bibita in lattina. Ma oggi Vasco è diventato il signor Rossi che a 72 anni è un reduce da quegli anni bucati e vuoti, e io voglio vedere il bicchiere mezzo pieno sul suo tavolo in cui discute da uomo maturo, da padre e da figlio che ha ascoltato un genitore che gli parlava di guerre, di deportazioni, di camice nere e di morti ammazzati ingiustamente. E tutto questo lessico famigliare, io voglio credere che sia servito anche a comporre almeno una strofa di ogni sua canzone e che proprio questa coscienza civile ieri lo abbia portato a cantare Generale di De Gregori e oggi lo renda lucido, critico e attento verso il pericolo di una radicalizzazione della malapolitica. E allora viva Vasco, che vive e lotta insieme a noi che siamo cresciuti con lui, ma ancora prima con i De Gregori appunto, con Gaber, Jannacci, Guccini, De Andrè, Vecchioni… Aedi di musiche e parole che hanno raccontato un Paese mettendoci la faccia e il pensiero, quando ancora c’era un pensiero.
Perché il problema dei nuovi cantautori, i rapper, è che ora la faccia la mettono nelle foto scattate con gli ultrà della destra eversiva e pilotata, con i malavitosi che spacciano emozioni da stadio e incassano milioni con la vendita dei biglietti delle partite e dei loro concerti. Questo fanno i Lazza, i Fedez, gli Emis Killa, i nuovi “poeti” maledetti - Verlaine, Mallarmè e Rimbaud ci scusino - che non sono indagati dalle procure come i loro amici pericolosi, ma vengono usati da quella malavita per controllare il territorio e per plagiare le nuove generazioni istigandole alla ricerca quotidiana dell’oro perduto. Vuoti a perdere, generazione Z senza più miti né eroi e senza nessun cantautore in grado di trasmettergli uno straccio di ideale, che non sia quello del rolex al polso, la vacanza a Ibiza e il locale alla moda consigliato dall’influencer su Tik Tok.
L’ex maledetto della suburra romana, ora imborghesito e giudice di tutti i talent, Achille Lauro, in “Amore disperato” cita il De Gregori romantico di “Sempre e per sempre”, ma ignora la sua A Pà dedicata a Pier Paolo Pasolini e all’omicidio più politico, forse di Stato, della nostra storia contemporanea. Ecco perché ci conviene, a tutti, stare dalla parte di Vasco. Perché Vasco Rossi da uomo coerente non ha mai rinnegato il suo passato da irregolare, senza mai autoproclamarsi “maledetto”. Vasco non si è mai fatto fotografare con amici boss, ultrà e faccendieri. E poi Vasco è l’ultimo di quella generazione di cantautori che riesce ancora a riempire San Siro mettendo assieme e in dialogo, almeno per una notte, tre anche quattro generazioni, avvertendole da tanto che la vita, questa vita, “è tutta un equilibrio sopra la follia”.